«Le opere sono la prova reale del buon discorso. Politica vana quella che si risolve tutta in fantastiche sottigliezze». Spagna, 1640, Baltasar Graciàn, a proposito di El politico don Fernando el Catòlico. Forse è troppo pensare che il modello Zapatero tenga in corpo questa agudezas o arte de ingenio. E a vederlo, il fragile Bambi, non sembra avere la stoffa del lider maximo . E probabilmente è vero che ha vinto per caso, per una di quelle occasioni che la politica a volte, purtroppo anche tragicamente, ti regala. Tuttavia, a sentire quelle poche semplici parole - vedi Blob la sera ! - «oggi ho dato ordine alle truppe spagnole di tornare a casa al più presto e col minor danno possibile», capisci che possiede una dote rara nei dirigenti della sinistra, il senno politico. Che cos'è il senno politico? Ma intanto è questa cosa qui. Il giorno dopo dell'investitura, a poche ore dal giuramento, devi dire una cosa, una sola, che ti definisce, ti qualifica, ti fa riconoscere. Tanto meglio, anzi ottimo, se questo dire corrisponde a un agire, se la parola è una decisione. Se poi quel dire e quell'agire si riveste di un alto valore simbolico, ci vivi di rendita per i mesi e per gli anni seguenti. Niente di sensazionale, ma, sì, qualcosa che mostra come stai dando attuazione a un mandato ricevuto.
L'occasionale vittoria socialista non ci sarebbe stata senza l'impegno a ritirare il contingente spagnolo entro il trenta giugno, in assenza di vistose modifiche della situazione. La decisione del premier eletto ha buttato sul tavolo il valore aggiunto di un'accelerazione, che senz'altro corrispondeva al sentire diffuso del proprio popolo. Ecco uno scambio virtuoso tra chi fa la politica e chi la chiede. Non devi correre dietro alla domanda della tua parte, né collocarti semplicemente al suo livello, devi stare più avanti, guidarla, se ne sei capace. Solo così eviti esasperazioni estremistiche e posizioni avventate che possono nascere nel campo del tuo consenso. E ti puoi conquistare un'unità più vasta del tuo schieramento.
Oggi il problema non è pace-guerra in generale, partiti realisti da una parte movimenti pacifisti dall'altra. Oggi il problema specifico è quello della guerra americana. Esso è dato da questo preteso governo-mondo, che si è riconosciuto intorno a questo impianto ideologico che dire neoconservatore è poco. E' poco, perché non siamo di fronte a una tradizionale manifestazione di «rivoluzione conservatrice», come poteva ancora definirsi il passaggio thatcheriano-reaganiano. Qui c'è una deriva di chiara impronta reazionaria, con quel tanto di tragico avventurismo che c'è sempre in queste posizioni, con la novità di una santa alleanza tra puritanismo evangelico ed estremismo sionista, che fa veramente paura. Altro che la «nobile bugia» di Leo Strauss ( e di Platone), qui c'è guerra per imporre la verità assoluta di un fondamentalismo democratico!
Non è che gli americani abbiano sbagliato qualche mossa nell'attuale vicenda irachena, come sono disposti ad ammettere anche alcuni dei loro leccapiedi. E' che conducono quella guerra con l'arroganza dei padroni del mondo. Nessuna potenza cobelligerante, nemmeno la Gran Bretagna, fa altrettanto. Perfino qui si mostra una differenza di civiltà tra l'Europa e gli attuali Usa. E l'asse Bush-Sharon non è la lotta al terrorismo, è l'altro terrorismo esercitato dall'alto di una volontà di potenza tecnologicamente superarmata.
Allora. Di fronte a una situazione storica così chiara non c'è che da mettere in campo una risposta politica altrettanto chiara. Il no alla guerra americana va pronunciato in modo netto, senza «fantastiche sottigliezze». E se «le opere sono la prova reale del buon discorso», il ritiro delle truppe cobelligeranti, anche quelle in improbabili missioni di pace, è il primo urgente e necessario passo. E' quello che chiede il popolo della sinistra e non saperlo, o far finta di non saperlo, è la prova reale di un cattivo discorso. Non ho capito perché si sia detto che la mossa di Zapatero divideva l'Europa. Secondo me, l'ha di più unificata. L'ha di più divisa dall'attuale leadership statunitense. Ma questa divisione, non dall'America o dall'Occidente, ma da Bush e dal suo staff di apprendisti stregoni, la sinistra europea la vuole o no? Vorremmo saperlo, anche qui con parole e con azioni semplici e nette.
Alla vigilia delle elezioni europee, guardando intorno con la migliore buona volontà, non riusciamo a scorgere una sinistra in campo, identificabile, riconoscibile, punto di riferimento negli interessi e nei valori per milioni e milioni di lavoratori, o anche solo di cittadini. Abbiamo in comune le monete nelle nostre tasche, ma che cos'altro nella nostra testa? Possibile che un partito del socialismo europeo non si ponga il compito di creare comunità europea, non genericamente di tutti - a questo ci pensano i mercati - ma della propria parte. Evidente che qui non ci sono all'opera libere forze spontanee, ma ci vuole la buona politica per cercare e per trovare.
Adesso l'ultima trovata è di esportare l'idea e la pratica delle due sinistre in Europa. Ha un inconveniente. Quando dici «due sinistre», l'immagine simbolica della sinistra, la sua idea-forza, è già crollata. E' un discorso che in qualche luogo bisognerà approfondire. Il concetto storico di «sinistra» ha un'identità più debole rispetto a quello di «movimento operaio». Questo poteva permettersi la distinzione e la contrapposizione di riformisti e rivoluzionari, socialisti e comunisti. Una ripetizione analoga per la sinistra di oggi è in principio perdente. La conseguenza è sotto i nostri occhi: una sinistra europea, magari con molti elettori, ma senza popolo. Sarà che veniamo dalla forma Pci, che più o meno bene conciliava le due anime. Per cui la strada impervia di una sinistra plurale in qualche modo unita sembra ancora quella con ostinazione da praticare. Le forme di organizzazione tutte da inventare.
Questo esperimento, o si tenta a livello europeo o in nessun luogo. Presupposto del tentativo è un'autocritica da parte della sinistra europea di governo. L'occasione perduta di tredici paesi su quindici in Europa con governi orientati a sinistra è lì che aspetta ancora di essere elaborata per il mezzo di una cultura politica: condizione per costruire quello che allora non ci fu, una pratica comune di governo, capace di intrecciare a livello sovranazionale, o meglio internazionale, le decisioni che contano. Perché non si ripeta quanto dopo quella stagione è puntualmente avvenuto. Il nostro Baltasar Graciàn, per i suoi tempi, lo descriveva così: «Dopo di avere la smodata ambizione dei prìncipi cristiani consumato alternativamente le proprie forze, esaurito i propri tesori, sciupato i propri eserciti, rispuntarono i turchi, e si impadronirono di tutto senza incontrare resistenza» . Noi, qui in Italia, siamo abbastanza sensibili alla narrazione di questa storia. Dopo i governi di centro-sinistra, è sulla nostra pelle che abbiamo sentito come e quando «rispuntarono i turchi». I nostri prìncipi cristiani, uniti nell'Ulivo, non hanno peccato per smodata ambizione, ma quanto a consumare alternativamente le proprie forze, a esaurire i propri tesori, a sciupare i propri eserciti, ce l'hanno messa tutta. Però, «le storie sono più piene di accidenti che di esempi di esperienze».