il Fatto quotidiano online, 30 maggio 2017Ci sono due generalizzazioni sbagliate sulla società di oggi. La prima dice che viviamo in un’epoca di antisemitismo universalizzato: con la sconfitta militare del fascismo, il ruolo un tempo giocato dalla figura antisemita dell’ebreo è ora ricoperto da qualsiasi gruppo straniero che venga percepito come una minaccia all’identità: i latinos, gli africani e soprattutto i musulmani, che oggi nelle società occidentali vengono trattati sempre più come i nuovi “ebrei”.
L’altra generalizzazione scorretta è quella secondo cui la caduta del Muro di Berlino avrebbe portato alla proliferazione di nuovi muri allo scopo di separarci dall’Altro pericoloso (il muro che separa Israele dalla Cisgiordania, il muro in programma tra gli Stati Uniti e il Messico ecc.). Tutto vero, ma esiste una distinzione fondamentale tra i due tipi di muri. Il Muro di Berlino rappresentava la divisione del mondo al tempo della Guerra fredda e, pur essendo percepito come la barriera che teneva isolate le popolazioni degli Stati comunisti “totalitari”, segnalava anche che il capitalismo non era l’unica opzione, che un’alternativa, benché fallita, esisteva. I muri che vediamo levarsi oggi, per converso, sono muri la cui costruzione è stata scatenata dalla caduta dello stesso Muro di Berlino, cioè dalla disintegrazione dell’ordine comunista; essi non rappresentano la divisione tra capitalismo e comunismo, ma quella immanente all’ordine capitalista mondiale.
Gli immigrati musulmani non sono gli ebrei di oggi: essi non sono invisibili, anzi, sono fin troppo visibili; non sono affatto integrati nelle nostre società e nessuno afferma che siano coloro che nell’ombra tirano le fila. Se proprio si vuole scorgere nella loro “invasione dell’Europa” un complotto segreto, allora si deve supporre che dietro ci siano gli ebrei, come afferma un testo apparso poco tempo fa in uno dei principali settimanali di destra sloveni, in cui si può leggere: “George Soros è una delle persone più depravate e pericolose del nostro tempo, responsabile dell’invasione delle orde negroidi e semiti – che, e dunque del crepuscolo dell’Unione europea. […] Essendo un tipico sionista talmudico, egli è un nemico mortale della civiltà occidentale, dello Stato-nazione e dell’uomo bianco europeo”. Il suo scopo sarebbe quello di costruire “una coalizione arcobaleno composta da emarginati sociali come i froci, le femministe, i musulmani e i marxisti che odiano il lavoro”, al fine di attuare “una decostruzione dello Stato-nazionale e trasformare l’Unione europea nella distopia multiculturale degli Stati Uniti d’Europa”. Quali forze dunque si opporrebbero a Soros? “Viktor Orbán e Vladimir Putin sono gli unici politici lungimiranti ad aver compreso appieno le macchinazioni di Soros e ad aver proibito di conseguenza l’attività delle sue organizzazioni”.
Se i Repubblicani radicali non facevano altro che attaccare Obama per il suo atteggiamento fin troppo morbido verso Putin, un atteggiamento che tollerava le aggressioni militari russe (in Georgia, Crimea ecc.), mettendo in questo modo in pericolo gli alleati occidentali in Est Europa, ora i sostenitori di Trump difendono un approccio sempre più accondiscendente verso la Russia. Come si possono unire le due contrapposizioni ideologiche, quella fra il tradizionalismo e il relativismo secolare e quella da cui dipende tutta la legittimità dell’Occidente e della sua “guerra al terrore”, l’opposizione tra i diritti individuali liberaldemocratici e il fondamentalismo religioso incarnato principalmente dall’“islamofascismo”?
Oggi la sinistra liberale e la destra populista sono entrambe bloccate in una politica della paura: paura degli immigrati, delle femministe ecc., o paura dei populisti fondamentalisti e via dicendo. La prima cosa da fare è compiere il passaggio dalla paura all’angoscia. La paura è paura di un oggetto esterno percepito come minaccioso rispetto alla nostra identità, mentre l’angoscia compare quando ci rendiamo conto che nell’identità che vogliamo proteggere dalla minaccia esterna tanto temuta c’è qualcosa che non va. La paura ci spinge ad annientare l’oggetto esterno, mentre l’unico modo per affrontare l’angoscia è trasformare noi stessi.
Le elezioni americane del 2016 sono state il colpo mortale al sogno di Francis Fukuyama, la sconfitta finale della democrazia liberale, e l’unico modo per battere davvero Trump e redimere ciò che vale la pena di salvare nella democrazia liberale è compiere una scissione settaria dal nucleo principale della democrazia liberale – in breve, spostare il peso da Clinton a Bernie Sanders, di modo che le prossime elezioni siano tra lui e Trump.
I punti del programma di questa nuova sinistra sono abbastanza semplici da immaginare. Ovviamente, l’unica reazione possibile al “deficit democratico” del capitalismo mondiale sarebbe dovuta passare per un’entità transnazionale. Non era stato già Kant a riconoscere, più di due secoli fa, il bisogno di un ordine giuridico transnazionale fondato sulla nascente società globale? Questo, però, ci riporta a quella che è verosimilmente la “contraddizione principale” del Nuovo ordine mondiale: l’impossibilità strutturale di trovare un ordine politico globale che corrisponda all’economia capitalista. E se, per ragioni strutturali e non solo per via di limiti empirici, non ci potesse essere una democrazia internazionale o un governo mondiale rappresentativo?
Il problema (l’antinomia) strutturale del capitalismo globale sta nell’impossibilità (e, al contempo, nella necessità) di un ordine sociopolitico che gli sia adeguato: l’economia di mercato non può essere organizzata direttamente come una democrazia liberale globale tramite elezioni universali. Mentre le merci circolano sempre più liberamente, i popoli vengono tenuti separati da nuovi muri. Trump promette la cancellazione dei grandi accordi di libero scambio difesi da Clinton. L’alternativa di sinistra a entrambi dovrebbe consistere in un progetto di nuovi e diversi accordi internazionali: accordi che impongano il controllo delle banche, accordi sugli standard ecologici, sui diritti dei lavoratori, sul servizio sanitario, sulla protezione delle minoranze sessuali ed etniche ecc.
La grande lezione del capitalismo globale è che gli Stati-nazione non possono svolgere il lavoro da soli. Solo una nuova internazionale politica può forse contenere il capitale mondiale. Un vecchio anticomunista di sinistra una volta mi disse che l’unica cosa buona di Stalin era la paura autentica che suscitava nelle potenze occidentali. Lo stesso si può dire di Trump: la cosa buona è che spaventa davvero i liberali. Le potenze occidentali impararono la lezione e si concentrarono in modo autocritico sulle proprie mancanze, sviluppando lo Stato sociale. I liberali di sinistra saranno in grado di fare qualcosa di analogo? Per citare Mao: “Grande è la confusione sotto il cielo: la situazione è eccellente”.