voucher». MicroMega online, 15 giugno 2017 (c.m.c.)
“Si è sottratta al Paese la possibilità di poter decidere: ne esce sconfitta la democrazia. Prima, ad aprile, si sono abrogate le leggi che erano oggetto di referendum, poi si sono riproposte dentro una manovrina”. Susanna Camusso ci accoglie nel suo ufficio, al quarto piano del palazzo Cgil di Roma. È indaffarata a preparare la piazza di sabato 17 giugno dal titolo inequivocabile Uno schiaffo alla democrazia contro la reintroduzione dei voucher. Una manifestazione che si focalizzerà soprattutto sul mancato funzionamento dell’articolo 75 della Costituzione: “Il governo ha scelto coscientemente di violare le regole della nostra Carta”. Non si fanno previsioni sui numeri dei partecipanti, anche se i sentori fanno presagire una manifestazione imponente.
Il governo ha deciso di anticipare il voto sul maxi emendamento ad oggi, prima della piazza di sabato. È sempre più scippo della democrazia?
Hanno paura di confrontarsi con l’opinione delle persone, come se il lavoro non meritasse un pronunciamento dei cittadini. E, attenzione, ponendo la fiducia, dimostrano di aver paura persino del dibattito parlamentare. Un doppio inganno se consideriamo che è stato inserito in un decreto d’urgenza in violazione del dispositivo con cui la Corte costituzionale ha autorizzato i referendum.
Si spieghi meglio...
La Corte dice che le norme sono abrogabili perché sono prive di una definizione di cosa sia il lavoro occasionale, cosa che si ripete esattamente con questo nuovo provvedimento, al di là del cambio di nome: invece di chiamarlo voucher viene chiamato contratto di prestazione occasionale, ma è un’autodefinizione.
Eppure il governo insiste che non hanno nulla a che vedere con i vecchi voucher. Rispetto a prima si alza il compenso per chi svolge attività presso le imprese. Sale anche la quota contributiva a carico del datore (al 33%). Vengono poi stabiliti dei limiti: non sono ammesse le aziende con più di 5 dipendenti, quelle del settore dell’edilizia e prestazioni inferiori alle 4 ore. Infine, la gestione delle operazioni sarebbe infatti affidata a un portale ad hoc dell’Inps. Come controbatte?
Molti, sia nel Governo che nel Parlamento, quando discutono di lavoro non sanno concretamente di cosa parlano. Sono così convinti che debba esistere un lavoro occasionale che non lo sanno neanche definire: l’unica definizione è che debba costare 5000 euro all’anno. Un po’ poco, no? La precarietà è questione più complessa...
Sì, ma rispetto ai vecchi voucher non ci sono cambiamenti?
Innanzitutto è ridicolo parlare delle poche imprese con 5 dipendenti a tempo indeterminato, in realtà stiamo parlando di più del 90% delle imprese italiane! Inoltre nei PrestO la quota previdenziale è aumentata con una beffa perché riporta la contribuzione all’equivalenza col lavoro dipendente, ma la inserisce nella gestione separata. Quindi per quei lavoratori si ha una contribuzione previdenziale inutilizzabile e in più non si hanno gli stessi diritti come la malattia. Una seconda beffa è sulla tracciabilità: viene inserito l’obbligo di comunicazione a inizio lavoro ma contestualmente vengono concessi tre giorni per smentire quanto si è dichiarato e negare la prestazione. E’ assolutamente evidente che con un’efficacia dei controlli molto discutibile, gli abusi e I raggiri saranno all’ordine del giorno.
Secondo il giuslavorista Piergiovanni Alleva i PrestO sarebbero addirittura peggiorativi rispetto ai voucher. È d’accordo?
L’elemento peggiorativo sta nel fatto che, rispetto a una scelta giusta e necessaria, cioè ridurre le forme di precarietà, siamo di fronte ad una norma che le moltiplica e le peggiora.
Proprio ieri Matteo Renzi si è rivendicato il Jobs Act. Possibile che sul lavoro abbia procurato più danni lui dei governi Berlusconi?
Beh, mi soffermo su due aspetti. Con la manomissione dell’art. 18 il governo Renzi ha legittimato il paradigma secondo cui è giustificato che un’azienda licenzi un lavoratore senza giusta causa, un vero e proprio rovesciamento dei rapporti di forza. Un provvedimento con effetti più nefasti di quelli che ebbe la legge Fornero sul mercato del lavoro. Altro aspetto da considerare: il rapporto tra spesa e risultati. Il Jobs Act ha ridotto i diritti dei lavoratori e col tempo si è svelato anche il bluff sull’aumento dell’occupazione che era dovuta alla decontribuzione delle imprese facendo così venire meno la propaganda del governo sui successi della riforma. Quelle risorse pubbliche dovevano essere utilizzate per interventi strutturali capaci di creare nuovi posti di lavoro e crescita del Paese.
Susanna Camusso, come siamo arrivati ai voucher? Veniamo da anni di smantellamento dello Stato sociale, di compressione dei diritti dei lavoratori e di aumento delle forme di precarietà, il sindacato non ha responsabilità su questo sfacelo? In passato la Cgil non poteva avere atteggiamenti meno concertativi?
Sfatiamo una leggenda: se vuole le elenco tutti gli scioperi generali della Cgil dall’approvazione della legge 30 ad oggi. E sono molti. Negli ultimi anni non ricordo una riforma sul mercato del lavoro passata con atteggiamenti dialoganti col governo. Le riforme condivise tra le parti sociali sono un antico ricordo nel Paese. Se c’è un’autocritica da fare l’abbiamo anche fatta riguardo a un’interpretazione che per lungo tempo abbiamo dato, cioè l’idea che le forme di precarietà potessero essere transitorie e non fossero un intervento che avrebbe determinato una strutturalità nell’organizzazione dell’impresa fondata in parte consistente sulla precarietà. Abbiamo invertito la rotta con la Carta dei diritti universali del lavoro, che ha l’ambizione di riordinare la giurisprudenza sul lavoro e dare con essa diritti a tutti i lavoratori siano essi dipendenti, autonomi, precari o altro. Pensiamo che i diritti del e nel lavoro debbano essere in capo alle persone. Contemporaneamente, abbiamo raccolto le firme contro i voucher, che sono l’emblema della nuova frontiera di precarietà perché sanciscono la definitiva destrutturazione del rapporto di lavoro.
Mi vorrei soffermare sull’aspetto generazionale: in Italia gli under 30 si trovano di fronte un mercato del lavoro iper-precario e senza garanzie. Una generazione che, a differenza di quella dei genitori, non conosce il contratto a tempo indeterminato. Da questo punto di vista, non andrebbe riformata l’idea del sindacato, visto che è cambiato il mondo del lavoro, oppure crede che sia sufficiente la Carta dei diritti universali che avete recentemente elaborato?
È indubbio ci sia una questione anche generazionale, ma la rottura di una costruzione dei rapporti di lavoro sta diventando un tema trasversale che riguarda tutti. La precarietà diventa una condizione riproponibile in qualunque momento e a chiunque. Se pensi a un settore come l’agricoltura, dove si hanno dalla diffusione dei voucher al caporalato, non stai parlando solo dei giovani ma di tante figure e contraddizioni: migranti, dumping salariale, competizione tra lavoratori etc...
Rimane il fatto che i giovani non sanno cosa sia un sindacato come la Cgil...
I giovani non conoscono il sindacato in molti luoghi perché spesso il sindacato non c’è, ed è una sua responsabilità, ma in tantissime altre realtà i giovani sono anche al centro delle politiche delle nostre categorie. Penso alla Filcams dove l’età media è attorno ai 30-35 anni. Ragazzi che hanno anche inventato forme nuove di sindacalizzazione e di determinazione della loro possibilità di avere lotte e risultati, rispetto ai diritti.
Il sindacato o si riforma o muore?
Riformare se stessi è sempre essenziale, il sindacato deve evolversi in ragione di come cambia il mondo del lavoro e rispetto alle sfide da affrontare. Bisogna inventarsi nuovi strumenti: ad esempio è una piattaforma lo strumento con cui interloquisci coi lavoratori della gig economy? Come costruire dei luoghi di aggregazione per lavoratori fisicamente dispersi? Sono le domande che ci stiamo ponendo come sindacato. Come ci insegna la storia delle nuove catene, quelle che abbiamo sindacalizzato, per far vivere la Cgil resta essenziale che quei lavoratori entrino intanto in una relazione fra di loro, cioè nell’idea che serva un’organizzazione collettiva, che è esattamente il messaggio opposto di quello che viene socialmente proiettato. L’interrogativo è quali sono i rapporti che tu puoi costruire, su cui stiamo ragionando noi e altri sindacati europei – non è un tema esclusivamente nostro – e su come intercetti un mondo che non ha un luogo fisico di lavoro o è composto da poche persone. Penso sia questa la vera sfida del sindacato.
State pensando ad uno sciopero generale? Abbiamo una faticosa relazione con Cisl e Uil su questo punto di vista e certo si rischia la rottura dell’unità sindacale invocando uno sciopero generale su un tema, come quello dei voucher, sollevato attraverso una raccolta firme soltanto dalla Cgil. Però... non lo escludiamo, sta nei nostri strumenti.
Passiamo ad una questione che a sta a cuore a MicroMega: l’Ilva di Taranto. Lì il sindacato ha fatto prevalere, negli anni, il diritto al lavoro sul diritto alla salute dei cittadini. Almeno di questo vi accusano a Taranto, dove la Cgil ha avuto un calo di iscritti. Fate autocritica? Siete arrivati in ritardo a capire il problema dell’inquinamento dell’Ilva? Sinceramente penso che la salute nei luoghi di lavoro e la salute intorno ai luoghi di lavoro debbano andare di pari passo. È un dato ormai acquisito in Cgil che ha complessivamente cambiato condotta. Inoltre c’è un grande tema che riguarda le norme differenziate nel nostro Paese: non esistono i controlli e questo nodo andrebbe affrontato seriamente per il bene del mondo del lavoro ma anche per l’ambiente, il clima e la salute dei cittadini. Su un punto rimango ferma: la soluzione dell’Ilva di Taranto non passa per la chiusura degli impianti, che significherebbe la sconfitta dell’innovazione verso nuove strade. Penso ai processi di riconversione o alle ricerche per rendere l’Ilva compatibile con l’esterno, salvaguardando così i posti di lavoro e la salute. Nei casi di siderurgia si può intervenire, la chiusura dell’impianto è un simbolo di resa.
Ultima domanda: il dibattito a sinistra. Sabato in piazza con voi ci saranno tutti i partiti della cosiddetta sinistra radicale. Mentre il 18 giugno, il giorno dopo, al teatro Brancaccio di Roma si discuterà dell’appello lanciato da Tomaso Montanari ed Anna Falcone. Qual è il suo giudizio sui confronti in corso?
Come sempre la Cgil è molto interessata all’evoluzione della politica ma esprime delle valutazioni di interesse quando si affrontano i temi del lavoro, per il resto non commento.
Si esponga Camusso... Cosa auspica a sinistra? Vorrei semplicemente una sinistra o un centrosinistra – non mi formalizzo sulla definizione e sui trattini – che abbia il lavoro come perno centrale. Bisogna ripartire da qui. Per troppo tempo il lavoro è stato invece il grande assente del dibattito della politica, anche e specialmente a sinistra.