una straripante partecipazione, molto importante per l’avvio dell’impegnativo cammino, sono emersi tuttavia forti accenti identitari, una scarsa propensione all’unità». il manifesto, 20 giugno 2017
Non è che l’inizio,l’inizio di una perigliosa navigazione, però l’affollata assembleadi domenica al teatro Brancaccio hariunito le isole dell’arcipelago della sinistra, quelle che nel referendum del4 dicembre hanno vissuto e condiviso la felice battaglia per la Costituzione.
Accanto a una straripantepartecipazione, molto importante per l’avvio dell’impegnativo cammino, sonoemersi tuttavia forti accenti identitari, una scarsa propensione all’unità. Anzi,di più: l’impressione netta è che per il momento i carri della carovana dellasinistra in costruzione siano due. Orientati verso direzioni diverse edistinte.
Forse potrebberoincontrarsi per strada, ogni tanto, per convergere su alcune battagliepolitiche e sociali comuni. Ma se si votasse domani la spinta prevalentesarebbe a favore di due liste separate, il contrario di quel che i duepromotori, Anna Falcone e Tomaso Montanari, intendono perseguire con la lorocoraggiosa iniziativa. Sarebbe un esito molto negativo.
Naturalmente non per chipensa che venti deputati e un bottino elettorale del 3% siano l’obiettivo daraggiungere, ma sicuramente per chi ancora spera in un’aggregazione larga, conl’ambizione di oltrepassare i confini fin qui tracciati dagli attori rimasti incampo negli ultimi, drammatici anni della crisi.
L’elenco dei presentiall’incontro fa capire che le «isole» sono tantissime. I promotori Montanari eFalcone di Alleanza popolare per la democrazia e l’uguaglianza, SinistraItaliana, i Rifondaroli, i fuorusciti dal Pd e ora Art.1- Mdp (pochissimi), eD’Alema, Castellina, Civati, Ingroia, de Magistris (Claudio). Storie e vitepolitiche molto diverse tra di loro, ma non per questo meno animate da una vivae giusta convinzione: che c’è un mondo – piccolo, medio o grande che sia –oltre il Partito democratico.
Però quello che si notavadi più era proprio l’assenza dei tanti che in questa lunga traversata neldeserto della crisi, hanno voltato le spalle alla sinistra decidendo di nonvotare. Anche se c’erano esempi, esperienze portate al microfono da nuovegenerazioni, ragazze e ragazzi dei movimenti sociali.
E però nel rosso teatroviveva un terzo elemento, che si è mostrato ai presenti platealmente. Lacontestazione. Il rifiuto. Tangibile quando ha parlato il senatore MiguelGotor, uscito dal Pd con Bersani: le sue parole sono state coperte dalla salarumoreggiante, contenuta a fatica dagli organizzatori. L’episodio ha messo inrilievo il sentimento prevalente della riunione: mai un centrosinistra conRenzi, tenere alla larga quelli del Pd perché hanno contratto un «virus».
Ma se un ex, un fuoriuscitodal Pd viene a dire che si riconosce nei valori e nei contenuti dell’assemblea,non dovrebbe essere considerato come un nemico del popolo. Quindi un ostacoloin più. Bensì il segno tangibile di un meritato consenso.
L’immagine offerta alBrancaccio dalla platea e dagli intervenuti al dibattito, fa dunque risaltare,insieme alla vivacità e ai colori di una radicata presenza nella società,insieme all’orgoglio di una militanza tanto preziosa, i punti più deboli di una«alternativa» (non di governo) di sinistra: la mancanza di una reale unità; loscarso interesse verso chi negli ultimi anni ha deciso di non impegnarsi,perché disilluso e poco attratto dalle «minestre riscaldate»; la prevalenza diquelli convinti di avere la «giusta» linea.
E quindi comeuscirne? Non avendo la bacchetta magica possiamo solo avanzare qualchesuggerimento, sul filo dei discorsi fatti in passato sostenendo che «c’è vita asinistra».
Innanzitutto non dovrebberoprevalere atteggiamenti divisori, perché se è corretto sostenere che con Renzinon c’è futuro a sinistra, è sbagliato invece porre paletti o veti neiconfronti di chi ha rotto, con dolore e con fatica, con il proprio passato(penso a Bersani e ai bersaniani).
Poi ognuno dei «costruttoriper l’alternativa», dovrebbe essere in grado di dire, innanzitutto a se stesso,che non esistono questioni politiche irrinunciabili (tranne quelle legate aivalori e ai principi) e anche a questo serve una piattaforma programmatica.
Terzo punto, diconseguenza, bisognerebbe elaborare un programma politico economico e socialeper il Paese, sia sul breve che sul lungo periodo.
E, infine, last but notleast, identificare una leadership, un punto di riferimento,preferibilmente femminile, capace di unire, mettere insieme, essereprotagonista. La presenza dei leader è servita alla sinistra inglese eamericana per riunire le forze sparse alternative, di sinistra, democratiche,riformiste. Va preso atto che oggi la politica, in Italia e nel mondo, si fondaanche sul leaderismo. Che non significa avere una persona sola al comando, comeRenzi, Grillo, Berlusconi, Salvini.
La fantasia al potereè uno slogan che l’anno prossimo compie cinquant’anni, quanti ne sono passatidal 1968. Di quella fantasia ne abbiamo ancora un discreto bisogno, anche sulterreno della leadership che deve rappresentare un contenuto altrettantoforte e radicale.
Alla fine dell’estatequesta perigliosa navigazione dovrebbe trovare l’approdo in una Costituente,come suggeriva su queste pagine AlbertoAsor Rosa. Ovvero il risultato,l’approdo di un processo largo e democratico che discute le forme, il nome, ilsimbolo di una forza, di una Nuova Sinistra. Una prospettiva per la qualelavoreremo per aiutare un esito felice di questo processo.