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«Una campagna a comando. Nessuna tangente ai Ds»
10 Febbraio 2007
Articoli del 2006
La difesa di D’Alema, in un forum pubblicato su l’Unità del 7 gennaio 2006

IL PRESIDENTE DEI DS «Siamo interessati e disponibili a una serena discussione sulle regole. Ma rifiutiamo l’idea grottesca che i Ds siamo l’epicentro di una nuova questione morale. Non c’è nessuna nuova Tangentopoli, anzitutto perché non ci sono tangenti, in primo luogo al nostro partito»

Ringraziamo il presidente D'Alema - inizia il direttore Antonio Padellaro - per avere accettato questa intervista-forum sulle questioni che agitano la politica in questi giorni. Anzitutto gli aspetti più grevi: sotto Natale Giuliano Ferrara sul Foglio ha scritto che i soldi che la Procura di Milano sta contestando a Consorte, 50 milioni di euro, sarebbero riconducibile a una maxitangente, destinata ai Ds e ha fatto il suo nome. La speculazione è caduta immediatamente, però ciò dimostra quale sia stato il livello dell'attacco scatenato in questi giorni nei confronti dei vertici dei Ds. Vuole commentare con noi questi fatti?

Abbiamo deciso di promuovere un’azione giudiziaria nei confronti de Il Foglio. Ci sembra un atto obbligato, e sarà l'occasione di approfondirne tutti gli aspetti, ne abbiamo parlato proprio ieri con l'avvocato Guido Calvi. Ma mi pare che queste insinuazioni non siano riuscite a fare breccia. È problema di Giovanni Consorte dimostrare se le operazioni finanziarie che egli ha avuto con Gnutti siano lecite o illecite. È tema su cui si pronuncerà la magistratura. Tema che non tocca per nulla il nostro partito, nel senso che si tratta di operazioni finanziarie di carattere personale. Oltre tutto, in questa vicenda si fa una gran confusione, schiacciando date e avvenimenti, per creare la sensazione che l'Opa-Bnl e i rapporti tra Consorte e Gnutti siano parti di una stessa vicenda. E a mio giudizio quella data non a caso coincide con la cessione di Telecom da parte di Gnutti a Tronchetti Provera. La vicenda, dunque, non ci ha riguardato minimamente. Non eravamo al governo, e io criticai quella operazione anche in pubblico. Non per ragioni personali, né certo per disistima nei confronti di Tronchetti Provera. Ma perché mi parve che l'operazione fosse per le sue modalità negativa per tanti piccoli risparmiatori, a differenza della tanto vituperata Opa di Colaninno. Ricordo per inciso che Consorte era stato partecipe di quell’operazione da me criticata, a conferma del fatto che Consorte e i ds non sono la stessa cosa.

È stata avanzata una critica politica nei confronti dei Ds riguardo ai rapporti, alle amicizie e alle alleanze di Giovanni Consorte...

Sono accuse curiose, perché da una parte siamo invitati a evitare ogni collateralismo e contemporaneamente siamo chiamati a rispondere su chi sono i manager del movimento cooperativo e su quali siano i loro rapporti. Consorte è presidente dell'Unipol dal 1992, eletto a questo incarico dalle cooperative, e via via confermato nel suo ruolo per una serie di successi ottenuti da una società quotata in Borsa che è diventata la terza assicurazione del Paese. Il partito non c'entra nulla, né con la sua nomina, né con la sua carriera, né con le sue amicizie. Credo che oggi anche lui consideri essere stato un errore le relazioni così intime che si erano venute creando con finanzieri dai comportamenti discutibili. Tuttavia vorrei ricordare che in questo Consorte è stato in amplissima e autorevole compagnia. Il presidente del Consiglio è tra i soci della finanziaria Hopa di cui Gnutti è presidente, e Gnutti è stato sino a ieri vicepresidente e socio di riferimento di Olimpia, la finanziaria che controlla la più grande impresa italiana, e che non è piccola parte della proprietà del Corriere della sera. Non ricordo alcun editoriale indignato, né titoli del tipo: «Fuori i furbetti dal tempio dell'economia italiana». Non lo dico a scopo di ritorsione. Ma per riportare una notizia che non è facilissimo ritrovare sui giornali. Il quadro che emerge è assai preoccupante e propone l’esigenza di una riflessione autocritica più complessiva e tocca la responsabilità di un’intera classe dirigente alla quale noi non ci sottraiamo. Ma rifiutiamo l’idea grottesca che i ds siano l’epicentro di una nuova questione morale. Tanto più agitata da chi non sembra avere titolo per fare la morale a nessuno. È ragionevole che tutti veniamo chiamati a riflettere su come - nel corpo fragile dell'economia italiana - abbiano messo radici fenomeni speculativi, operazioni ai limiti della legalità, che sicuramente vanno molto al di là dei personaggi di cui si discute. Ma non c’è nessuna nuova Tangentopoli, anzitutto perché non ci sono tangenti, in primo luogo al nostro partito, e poi perché nella vicenda di Tangentopoli i partiti intervenivano per alterare i meccanismi della concorrenza, per truccare appalti pubblici. Noi non abbiamo alterato e truccato alcunché. Siamo non solo disponibili, ma interessati a una seria e serena discussione sulle regole, sul perché dei guasti prodotti e sulle responsabilità di un’intera classe dirigente. Aggiungo che ritengo necessario approfondire un confronto sulla realtà attuale del movimento cooperativo, perché è evidente che siamo di fronte a una realtà economica che è divenuta via via, crescendo, assai diversa dalle cooperative di tanti anni fa, e che si pongono seri problemi per quanto attiene al rinnovamento delle forme di governance e alla ridefinizione della missione di queste grandi imprese. E qui certo c’è anche un nostro ritardo.

Ma non c'è stato anche un eccesso di reazione nei confronti di questa campagna?

Sono d'accordo con Romano Prodi: la politica non deve occuparsi di affari, ma del futuro del paese. Ma non possiamo essere ingenui. Nei grandi Paesi europei gli interessi economici che hanno rilevanza nazionale si muovono con l'appoggio della politica. Se una grande banca spagnola viene in Italia non possiamo pensare che ciò avvenga senza il sostegno della politica. Così quando le grandi imprese italiane sono sbarcate all'estero e spesso ne sono state ricacciate, ciò è avvenuto per l'intervento del potere politico di quel paese. Il nostro è un Paese fragile dove - mancando una visione dell'interesse nazionale - siamo litigiosi e autolesionisti: un Paese in cui per antica tradizione ci si associa volentieri con lo straniero per fregare il connazionale: Franza o Spagna purché se magna, è da secoli lo slogan di una parte delle classi dirigenti. Non si coglie che il movimento cooperativo è un pezzo importante dell'economia italiana. stiamo attenti a un certo provincialismo per cui tutto ciò che viene dall’estero è innovatore o moralizzatore: basti pensare a quel che scrive il Wall Street Journal sull'Abn Amro.

Vi vengono rimproverate, però, dichiarazioni avventate e contraddittorie…

Mi dà fastidio il moralismo a comando: in questa campagna c'è chi ha scoperto improvvisamente che non va più bene colui che fino a ieri è stato suo socio, anzi che è ancora suo socio. Non conosco Fiorani, non conosco Ricucci; per essere precisi conosco Profumo, ma non conosco Gnutti. Ma tra loro i contendenti si conoscono. È davvero curioso che vengano a fare la morale a me.

È stata rimproverato un atteggiamento di eccessiva tifoseria, e il coordinatore della segreteria dei Ds, Chiti, ha ammesso che si è trattato di un errore.

Chiti ha detto che si è peccato di eccessiva tifoseria da una parte e dall'altra. E ho letto decine di interviste a favore o contro questa Opa. Persino Bertinotti ne ha rilasciato una con il titolo: «Il Banco di Bilbao deve comprare la Bnl». Sarà lecito, dunque, se tanta parte del mondo politico tifava per gli spagnoli, che qualcuno tifasse per gli italiani. Comunque il tifo non mi pare un peccato mortale. Posso capire che adesso si dica: ora stiliamo una nuova regola, quando c'è un'Opa la politica taccia. Finché non c'è questa nuova regola non vedo, però, nessuno scandalo se il leader del maggiore partito si informa sull'andamento di un'operazione. Continuo a ritenere che se sorgesse in Italia una realtà bancaria legata alla Lega delle cooperative ciò arricchirebbe il pluralismo e rafforzerebbe il sistema economico italiano: è un'opinione politica di cui rivendico la legittimità.

La telefonata di Fassino e Consorte su cui si è imbastita la campagna di aggressione ai Ds non è stata uno sbaglio?

Non ritengo che si possa imputare a Fassino una telefonata in cui si chiedono informazioni, e che non ha nessuna rilevanza di natura giudiziaria. È un tipo di materiale facilmente manipolabile, basta cambiare una virgola per cambiare il senso, da una trascrizione non si riesce a capire se quella è una battuta di spirito, non c'è alcun valore di documento in quel brogliaccio di frasi prive di contesto. Ma la verità è che siamo l'unico Paese al mondo in cui leggendo su un giornale di proprietà della famiglia del premier la trascrizione illegittima della intercettazione telefonica di un leader dell'opposizione, anziché scattare su e denunciare lo scandalo, l'attentato alla democrazia, si discute del contenuto della telefonata. Come se per il Watergate negli Stati uniti si fosse discusso del contenuto delle conversazioni tra i leader democratici, e non del fatto che essi erano spiati dal governo. Il che dimostra una scarsa cultura democratica di questo Paese. Questa vicenda è il termometro di qualcosa d'altro: senza nessuna base che poggi sui fatti scatta verso di noi un linciaggio che non verrebbe consentito contro nessun altro, forse perché si pensa che venendo da una certa storia noi siamo quelli che possiamo essere presi a calci in bocca…

Ci sono anche telefonate di D'Alema con Consorte?

Ce ne saranno, immagino di sì.

Tra gli attacchi ai Ds ce n’è stato uno rivolto al vostro tesoriere, Ugo Sposetti, da una personalità molto vicina al centrosinistra, Gad Lerner.

Ieri ho parlato a lungo al telefono con Gad Lerner, perché lo conosco da tanti anni, gli voglio bene e proprio per questo sono stato dispiaciuto per la sua uscita. Lo considero nel novero non di quelli che ci odiano, ma uno con il quale siamo impegnati in una comune battaglia politica, anche se ha una storia diversa dalla nostra e mantiene con ogni evidenza una riserva su di noi.

Ha scritto che Sposetti non poteva non sapere... Lei che cosa gli ha risposto?

Gli ho detto: “Guarda Gad, ti sbagli, perché Sposetti è una persona assolutamente perbene che fa un lavoro difficile”: perché amministrare un grande partito con pochi soldi, dover gestire debiti, dismissioni, per chi non naviga nell’oro è un impegno estremamente difficile, di pesante responsabilità. E lo ha fatto con assoluta correttezza personale.

Anche con altri importanti giornalisti vi conoscete da tanti anni: uno di questi in particolare durante un dibattito pubblico ha detto che chi viene dal Pci deve ancora depurarsi...

Volendo rispondere con una battuta si potrebbe chiedere quanti decenni ci vogliono per quelli che vengono da potere operaio, almeno noi non predicavamo l’insurrezione armata contro i poteri dello Stato...

Ricordo un'intervista sull’Unità a Sergio Sergi il 10 giugno, quando la vicenda era ancora sotto traccia, eppure in quell'intervista l'allarme era molto forte, si diceva che c'erano veleni all'interno del centrosinistra. Non c'è stata una sottovalutazione di quell'allarme? La stessa lettera di Prodi non è stata propriamente amichevole nei confronti dei Ds..

Al di là delle discussioni passate, credo che nell’Unione oggi si sia compresa la portata di una operazione che mira a disgregare la maggiore forza del centrosinistra. Forse fino adesso non era stato compreso appieno che, colpendo i Ds, si vogliono indebolire le prospettive del centrosinistra e della governabilità del Paese.

Repubblica le attribuisce queste frasi: “Non mi alleo con chi sospetta che il nostro sia un partito di delinquenti. Meglio lasciar perdere. Tanto c’è il proporzionale. Ognuno vada per conto suo”..

Non ho fatto alcuna intervista a Repubblica.Si riprendono battute, sfoghi.

Ma tutto ciò peserà sul cammino della lista unitaria e del Partito democratico?

Sono uno dei più convinti assertori della necessità di trasformare l’Ulivo nel principio costitutivo di una nuova grande forza politica di centrosinistra democratica e riformatrice in grado di dare al bipolarismo italiano un asse forte. Sostengo questa tesi da molti anni, ho sostenuto tutte le proposte che vanno in questa direzione. Ogni volta che si è parlato di gruppi unici sono stato a favore, quando Prodi propose la lista unitaria alle europee mi schierai subito a favore. Questa è la linea sostenuta in questi anni con coerenza dalla maggioranza del nostro partito. All’indomani della sconfitta del 2001 parlai della necessità di una svolta profonda e dell’esigenza di superare quella contrapposizione tra ulivismo e partiti che è stato il male del centrosinistra. E superarlo con la costruzione di una nuova grande forza politica.

Ha cambiato opinione negli ultimi giorni?

No. Non ho cambiato opinione rispetto a questo convincimento. Però dev’essere chiaro a tutti i protagonisti che un processo come questo richiede che non ci siano né egemonismi né damnatiomemoriae. Cioè non si può pensare che si possa costruire una cosa di questo genere sulle macerie della sinistra italiana, sulla delegittimazione politica e morale dei suoi gruppi dirigenti. Così come noi non possiamo pensare che si tratti di un processo di assorbimento, della creazione di una sorta di grande Quercia. Quindi, se volete, nella forma di uno sfogo, era un modo per dire: “Signori, se volete che questo processo vada avanti non si può accettare che esso venga presentato come la liquidazione di un patrimonio o di una forza politica. Mi pare, ho visto anche l’intervista di Franco Marini su Repubblica, che il messaggio sia stato compreso. E che si comprenda che ci vuole rispetto reciproco tra le forze che sono in campo.

Perché si prendono di mira proprio i Ds?

Siamo una forza che ha un’idea precisa dell’autonomia della politica e questo, forse, a qualcuno dà fastidio.

a cura di Ninni Andriolo, Simone Collini e Vincenzo Vasile

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