o», non abbiamo invece nessuna necessità di alchimie politiche». il manifesto, 20 luglio 2017
Non sarà facile. Anzitutto, perché la paura del nuovo e le incertezze del presente portano molti – anche a sinistra – a limitarsi a resistere, adottando magari strategie di pura sopravvivenza. Ma v’è un’altra ragione che rende complesso impegnarsi per il cambiamento: esso non sarà immediato. Chi pensa di riscrivere la storia dell’ultimo quarantennio in un giorno (magari quello delle prossime elezioni) non potrà che andare incontro all’ennesima delusione.
Meglio attrezzarsi per una lunga marcia.
È questa la ragione per la quale dovremmo misurarci sulle cose, sulle idee, sulle prospettive e non invece sulle persone, sulle liste, sulle biografie personali. Ciò di cui abbiamo bisogno è un «pensiero lungo», non abbiamo invece nessuna necessità di alchimie politiche.
La discussione non è iniziata bene. Il processo di definizione di una (nuova) soggettività politica mi sembra eccessivamente condizionato dai rapporti e dagli equilibri di vertice. Dei tanti piccoli vertici cui è divisa la galassia frantumata della sinistra.
Temo che limitandoci ad unire sigle e persone non andremo molto lontano. Anzi, alla fine non uniremo un bel nulla: le divisioni del passato, le incomprensioni del presente lo impediranno. Dovremmo prenderci tutti un impegno: non parliamo più di persone, ma solo di idee. Chiediamo a tutti di confrontarsi su queste, quale che sia il loro passato, per verificare se c’è un possibile futuro in comune.
Non si parte da zero. Intanto perché la storia della sinistra è certamente in una fase di confusione, ma ha anche radici profonde. Se la politica sembra aver abbandonato le ragioni della sinistra, non per questo i principi di eguaglianza, libertà e fraternità che l’innervano sono svaniti. Non basta, ovviamente, il richiamo ai grandi valori, è necessario riuscire a declinarli, renderli proposta politica concreta.
In quest’opera di traduzione di nostri ideali in un programma d’azione collettivo è alla realtà della storia che bisogna guardare. Alla Costituzione repubblicana, innanzitutto. Non certo perché la nostra «parte» (la sinistra) si possa appropriare del «tutto» (la Costituzione), ma per la semplice ragione che è dalla costituzione che si può ripartire per invertire la rotta.
Lo dimostra il recente passato. Vi sono stati due fatti di assoluto rilievo costituzionale che hanno segnalato la necessità del mutamento.
Da un lato, il rifiuto popolare della riforma costituzionale proposta del governo, dall’altro la doppia pronuncia dei giudici della Consulta sull’incostituzionalità delle leggi elettorali. Una scossa tellurica, che ha prodotto due vistose crepe nell’assetto consolidato dei poteri.
Lacerazioni che in molti – anche a sinistra – vorrebbero rapidamente ricomporre, per poi riprendere la stessa strada che ci ha condotto sin qui, eliminando solo gli eccessi che hanno determinato l’incidente di percorso. Così, gli inviti a non abbandonare il modello di democrazia maggioritaria si sprecano.
Un nuovo soggetto politico di sinistra dovrebbe, invece, assumere come prioritario il compito di dare seguito coerente alla rottura, cambiando finalmente strada, promuovendo un diverso modello di democrazia costituzionale.
Se, dunque, è la democrazia la vera posta in gioco (la sua qualità, la materialità delle sue forme istituzionali e sociali) non ci si potrà limitare a definire contenuti minimi o di sola convenienza elettorale, miope saprebbe guardare ai pur legittimi interessi delle attuali forze politiche organizzate. Bisogna essere più ambiziosi e operare in base ai valori, scegliere la direzione e poi cominciare a risalire la corrente.
Ma quale sarebbe in concreto il modello di democrazia attorno al quale costruire la soggettività della sinistra politica in Italia? Tre espressioni la potrebbero qualificare: «pluralismo», «partecipazione», «diritti fondamentali».
È il pluralismo che legittima la rivendicazione di un sistema elettorale tendenzialmente proporzionale, non invece una discussione basata sul calcolo di convenienza delle diverse forze politiche. È la partecipazione che impone di ripensare le forme dell’associazionismo politico e sociale, abbandonando le incomprensibili lotte personali che stanno dilaniando i partiti attuali.
Sono, infine, i diritti fondamentali che ci indicano da che parte stare: da quella di chi ne è privo. Il costituzionalismo democratico moderno nasce per dare un fondamento giuridico alla lotta per l’emancipazione dei soggetti storici concreti. La sinistra che è oggi alla ricerca di sé stessa potrebbe ripartire da una coraggiosa politica di salvaguardia dei diritti fondamentali e dalla indicazione dei correlati doveri di solidarietà.
Pensare in grande, tornare ai fondamentali: forse è questa la strada maestra per ritrovare il popolo della sinistra, che, alla fine, potrebbe pure convincersi che valga la pena tornare a votare.