di Tomaso Montanari
Antonio Padellaro scrive che se la sinistra non sarà rappresentata nel prossimo Parlamento, i responsabili faranno “bene a espatriare”. Sono d’accordo: è per questo che, il 18 giugno scorso, ho lanciato – al Teatro Brancaccio, con Anna Falcone e quasi duemila persone – un appello per “una sola lista a sinistra”.
Ma non parliamo della stessa “sinistra”. Padellaro è convinto che il Partito democratico ne faccia parte, e che le divisioni dentro e fuori quel partito siano tutte imputabili alle “inimicizie personali” di Matteo Renzi e ai simmetrici personalismi dei troppi leader che si contendono il “comando”. Ma se c’è una cosa che appare chiara proprio leggendo il Fatto Quotidiano è che il Pd è un partito che da tempo non ha nulla a che fare con la sinistra: esso ha invece preso il posto della vecchia Democrazia cristiana, senza averne tuttavia la cultura né una sinistra interna altrettanto efficace e preparata. È il partito del potere: perché ha inteso il potere come un fine. L’unico.
L’Italia così com’è (segnata dalla massima crescita europea della diseguaglianza, Regno Unito escluso) è un prodotto del Pd, che – insieme ai partiti di cui è erede, nella formula del centrosinistra – ha governato più a lungo di Berlusconi. Lo smontaggio dello Stato, la distruzione del pubblico e la negazione sistematica di pressoché tutti i principi fondamentali della Costituzione sono da imputare al Pd almeno quanto a Forza Italia.
Arrivati a Renzi, il problema non è stato il “personalismo” (pure odiosamente pervasivo): ma la definitiva distruzione dei diritti dei lavoratori (Jobs act), la spallata finale alla scuola pubblica (la Buona scuola), la mazzata inflitta all’ambiente (lo Sblocca Italia di Maurizio Lupi), la mercificazione completa del patrimonio culturale e la fine della tutela (la “riforma” Franceschini) e via elencando. Con Minniti, poi, siamo arrivati all’eradicazione dell’articolo 10 dalla Costituzione e a una politica securitaria per la quale i militanti di Fratelli d’Italia e Lega si spellano le mani. Un partito che blocca lo Ius soli mentre approva un maxi-condono per l’abusivismo edilizio: è questo il Pd.
A “espatriare” farebbe bene una sinistra pronta a sostenere e prolungare tutto ciò. Votare Pd per fermare la destra vuol dire ripetere l’errore di chi era convinto che la visione di Sanders fosse utopica e minoritaria e ha imposto la Clinton in nome del “realismo”: sappiamo com’è finita. Fermare la destra facendo la politica della destra serve solo a rinviare lo schianto finale, rendendolo ancora più devastante.
In tutta Europa sono nati movimenti radicali di sinistra (che usino o meno questa parola nel loro nome), che contestano alla radice lo stato delle cose e le politiche di centrosinistra degli ultimi vent’anni, rigettano il dominio della finanza sulla politica e rivendicano il diritto di governare puntando al “pieno sviluppo della persona umana” e non obbedendo al mercato. Tutti partiti meno “a sinistra” di papa Francesco, sia chiaro: tanto per dire quanto sia insensato parlare oggi di “centrosinistra” sul piano culturale.
Manca quasi solo l’Italia, e spero che il percorso del Brancaccio possa – con il tempo che ci vorrà – generare qualcosa di simile. Ma un simile progetto non può certo iniziare sostenendo gli alfieri dello stato delle cose. Alle prossime elezioni ci saranno tre, diverse, destre: quella padrona del marchio, i 5stelle di Di Maio e il Pd di Renzi. Una sinistra che voglia rovesciare il tavolo dello stato delle cose non può allearsi con nessuna delle tre.
E i numeri? Si può decidere di rivolgersi solo al 50% che vota, o decidersi finalmente a parlare all’altra metà del Paese, con un linguaggio nuovo e radicale. È la metà riemersa il 4 dicembre, determinando la vittoria del No: laddove i flussi elettorali dimostrano che l’85% dei votanti Pd ha scelto il Sì.
Siamo, dunque, a una scelta di campo. L’oracolare Giuliano Pisapia ha infine detto che sarà al fianco del Pd, mentre MdP deve ancora decidere: tutti gli altri vogliono un quarto polo. Non so come finirà: ma se ci si divide tra chi vuole lasciare tutto così com’è, e chi vuole invertire la rotta non è uno scandalo, è onestà intellettuale. Lo scandalo è non averlo fatto prima: oggi saremmo al 20 per cento. O al governo.
MA NON TUTTI
SONO COME RENZI
di Antonio Padellaro
Sulla sinistra (ancora) possibile, Tomaso Montanari riesce a dire e a scrivere cose che restituiscono speranza. Poi però esiste la dura realtà quotidiana che la buona politica può certo trasformare, non prima però di aver compreso. Mi limito al dato citato a proposito del Referendum costituzionale: pur avendo la riforma imposta da Matteo Renzi “straperso” nel Paese, l’85% dei votanti Pd ha scelto il Sì.
Dunque la domanda è: assodato che per tutte le ragioni esposte da Montanari il renzismo è il degno erede del berlusconismo, come mai pur avendo perso per strada larghe fette di consenso quel Pd continua a ricevere i voti di tanti milioni di italiani? Eredi del berlusconismo anch’essi? Tutti democristiani di ritorno? Tutti che, come le famose scimmiette, preferiscono non vedere e non sentire pur di continuare a subire gli effetti delle diseguaglianze e della distruzione progressiva della cosa pubblica? Come cronista del Corriere della Sera, poi come direttore dell’Unità ho conosciuto quel mondo: anche se qualche anno è trascorso sono convinto che, al di là di un ceto politico spesso impresentabile, nella base di iscritti ed elettori esso resti una realtà largamente ancorata ai valori fondanti della sinistra. Paradossalmente anche a quelli che il renzismo non ha fatto altro che rinnegare. Allora perché diavolo restano nel Pd invece di procedere a quella “scelta di campo” che nel loro stesso interesse sembrerebbe inevitabile? Non lo fanno, caro Montanari, perché non si fidano. Né dei Cinque Stelle, per molte delle ragioni su cui sicuramente concordiamo. Ma neppure intendono dare ascolto a coloro che a nome della sinistra dicono di parlare dando tuttavia di quella stessa sinistra un’immagine fumosa, rissosa e alla fine politicamente ininfluente. E allora, in mancanza di meglio prendono quello che c’è. “Parlare all’altra metà del Paese con un linguaggio nuovo e radicale” è un progetto entusiasmante a cui auguro di cuore le migliori fortune.
Nel frattempo, per affrontare quella dura realtà quotidiana sempre più stretta tra il ritorno della destra e l’incognita pentastellata suggerirei di compattare “quello che c’è”. Magari dialogando con chi nel Pd pensa di rappresentare molte delle cose di sinistra di cui tu parli, per nulla rassegnato a lasciare le cose come stanno. Non provarci, considerare il Pd un partito perduto alla causa, significa fare soltanto il gioco di Renzi. Ne vale davvero la pena?
Quello che a Padellaro sfugge è che il mutamento non sta solo nel fatto che un berlusconcino come Matteo Renzi si sia impadronito di ciò che restava del Pci, ma che è cambiato il carattere antropologico degli ex militanti della sinistra italiana, e che contemporaneamente è cambiato il mondo nel quale la vecchia sinistra combatteva. Il personale che è rimasto nel PD di Renzi e che continua a votare per lui è costituito da schegge della sinistra del millennio scorso, ma il significato di quella sinistra non ha più alcuna rilevanza di fronte ai problemi dei nostri giorni (vedi il nostro La parola "Sinistra". Da qui anche la profonda disaffezione verso i partiti di quell'epoca scomparsa, e il fenomeno dell'astensione dal voto.. L'intelligenza politica di Anna e Tom è di aver compreso questo cambiamento e di avere di conseguenza proposto una piattaforma politica radicalmente diversa da quelle delle tradizionali sinistre Per quello che so di loro, non verranno mai a patti: non si metteranno nella situazione in cui "le mort saisit le vif"("il morto afferra il vivo", e lo trascina con se).