il manifesto, 18 ottobre 2017. Un intervento del nostro opinionista nel dibattito sulla sinistra. Per un disguido ci è giunto in ritardo, ma il suo interesse ci sembra immutato
E’ ormai evidente, uno spettro si aggira per i cieli della politica italiana e minaccia la nostra prospera democrazia: la Cosa Rossa. Nessuno sa precisamente che cosa sia, ma assume già caratteri inquietanti. Giuliano Pisapia, che non è ancora riuscito a trovare «la formula che mondi possa aprirci», la indica ormai montalianamente come «ciò che non siamo, ciò che non vogliamo», una deriva minoritaria da scansare come la peste. Il giornalismo politico, che spesso va in cerca di sigle semplici, da qualche tempo la considera come l’indistinto coacervo dell’estremismo italiano. Fabrizio D’Esposito, ad esempio, riferisce « dell’inclinazione massimalista a fare una Cosa Rossa» a sinistra del Partito Democratico. (La corsa a contendersi il mito dell’Ulivo, Il Fatto quotidiano, 10 novembre 2017), contrapposta a «una spinta riformista». Ma pare che la paura per l’indistinta creatura dilaghi anche tra le più alte cariche dello Stato. Circola voce secondo cui la presidente della Camera, Laura Boldrini, «appare lontanissima dalla “Cosa rossa” » (Daniela Preziosi, "MdP-SI verso l’accordo", , 10/10/ 2017). Destino delle parole. E pensare che il termine, il terribile sintagma, apparso lo scorso anno sulle cronache politiche di tutta la stampa italiana, era stato coniato per designare qualcosa di nuovo che stava nascendo a sinistra del PD. Ma destino anche della vita politica di questo davvero malmesso Paese.
Per mesi a sinistra (come del resto a destra, ma forse meno) non si è dibattuto che di posizionamenti, di qua o di là, di leader, questo o quello, di partecipazioni consentite e vietate, tu si tu no, e mai un ragionamento programmatico, una indicazione di contenuto strategico che illuminasse la scena della depressa vicenda politica nostrana. Appena si fa un accenno ai contenuti si ricorre a formulette di pronto uso. Ma in questo caso la semplificazione non è innocente. La Cosa Rossa sta diventando un dispositivo ideologico per bollare con il marchio infamante dell’estremismo, del minoritarismo, del velleitarismo, del massimalismo (altri ismi si aggiungeranno a breve) le uniche forze politiche realmente ispirate da un progetto riformatore. E’ davvero singolare vedere bollati Sinistra Italiana, Possibile, il movimento civico di Tomaso Montanari e Anna Falcone come esponenti di un progetto estremista.
Ma sotto l’immiserimento colturale o, meglio, di conserva con esso, si cela una trama di pratiche politiche oggi dominante nel fronte che si definisce riformista. La sinistra diventa una Cosa Rossa innominabile e infrequentabile perché impedirebbe le necessarie alleanze con le pattuglie parlamentari del trasformismo militante degli Alfano o dei Lupi, e di qualunque altro transfuga si presti alla bisogna. L’intransigenza politica e morale diventa così settarismo, impedisce elasticità di manovra, flessibilità e adattabilità nelle alleanze. Per alcuni esponenti di MDP e per tanti di Campo progressista, infatti, il riformismo che conta è quello che si fa dai banchi del governo, con buoni piazzamenti negli scranni del Parlamento, e consistente nella realizzazione di “quel che si può”, senza rischiare troppo, tenendo nel debito conto gli equilibri dominanti. Primum vivere.. E’ tale riformismo, indistinguibile da quello del centro-destra, che ha ispirato negli ultimi anni le magnifiche sorti e progressive dell’Italia di oggi.