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Eugenio Scalfari
Una forza grande per rifare l'Italia
6 Aprile 2006
Articoli del 2005
"L'autocrazia sta emergendo rapidamente dalla sistematica distruzione dello stato di diritto e delle garanzie che ne costituiscono l´essenza". L'articolo esamina gli avvenimenti recenti in una seria logica riformista, a partire da questa verità, su la Repubblica del 9 gennaio 2004

DICONO che la politica non interessi più nessuno, ma non è vero. Il politichese non interessa, anzi è rifiutato da tutti, ma la politica, i problemi cruciali del paese, i suoi interessi e il suo destino, ci riguardano, eccome.

Interessa il potere d´acquisto delle famiglie, la sorte delle imprese, il lavoro e i suoi contratti, le tasse. Ma anche il rispetto dei diritti, l´obbligo dei doveri, la scuola, l´efficienza dei servizi pubblici, la sicurezza, la rapidità e l´equità della giustizia. Interessa l´indipendenza delle istituzioni.

Il personaggio più amato dagli italiani è Carlo Azeglio Ciampi.

Qualcuno si chiede il perché dell´affetto quasi unanime che lo circonda, e la risposta è semplice ed univoca: perché ha dimostrato e continua a dimostrare ogni giorno la sua indipendenza da qualsiasi altro potere o interesse, per quanto forti possano essere. Ciampi garantisce gli italiani. Sulla carta i suoi poteri sono deboli, in certi settori addirittura debolissimi; ma nella realtà sono potenti perché Ciampi è la voce autentica della pubblica opinione; non di una parte di essa, ma della grande corrente della pubblica opinione, quella che vorrebbe un paese moderno, un sistema efficace, una politica nazionale ed europea, una classe dirigente integerrima, una libertà di ampio respiro e una solidarietà fraterna e sociale.

Ciampi è l´immagine più esemplare di un moderato estremista. Vorrebbe niente meno che la Costituzione fosse rispettata nella lettera e nello spirito. Ecco, il suo estremismo è questo e quando vede che la Costituzione viene elusa, scavalcata e talvolta addirittura irrisa, allora scende in campo in nome del popolo e il popolo si riconosce in lui.

Spesso avviene che i furbi applaudano alle sue iniziative per meglio sabotarle e talvolta ci riescono. Ma non si illudano: sono vittorie col fiato corto. Ciampi non è soltanto il presidente della Repubblica ma è, soprattutto, l´educatore d´una nazione, il padre che indica la retta via senza piegarsi né a lusinghe né a minacce.

Tra le tante disavventure che ci angustiano da anni, questa è stata la tavola di salvezza più solida che da cinque anni e mezzo è il solo punto di riferimento comune di un paese per altri versi discorde e privo di bussola.

Dicono che Berlusconi sia un improvvisatore, capace soltanto di tutelare i propri interessi personali ma sprovvisto di una visione di governo e della capacità di attuarla; ma anche questo non è vero. Berlusconi sa benissimo che cosa vuole e persegue i suoi obiettivi con tenacia.

Sicuramente è vero che il primo di tali obiettivi sia stato e continui ad essere il suo personale interesse di imprenditore impresario alle prese con il mercato e con la legalità da lui lungamente e pervicacemente violata. Ma è sbagliato pensare che non abbia una sua coerente concezione della governance e una capacità notevole di realizzarla.

La sua concezione consiste nella consapevole demolizione del sistema democratico-liberale e dello stato di diritto fondato sulla separazione dei poteri e sulle istituzioni di garanzia che ne sono il più alto presidio.

Forte d´una maggioranza parlamentare clonata e passivamente obbediente, sta abbattendo uno dopo l´altro i pilastri che da mezzo secolo hanno tenuto in piedi la struttura costituzionale del paese e gli ideali che la ispirano.

Ha dalla sua alcuni vizi di antico retaggio italiano che ha rivitalizzato con una sapiente miscela di populismo volutamente sguaiato. Si è messo ai margini dell´Europa agganciando le sue fortune a quelle di Bush: una scelta che ha ridotto la nostra politica estera ad un ruolo di satellite privo di qualunque reale influenza e ruolo internazionale e di qualunque positivo ritorno in termini strategici ed economici.

La sua concezione della governance coincide con l´autocrazia. Non l´ha ancora realizzata appieno, la magistratura resiste, i sindacati resistono, l´opposizione parlamentare resiste e Ciampi soprattutto resiste.

Resiste ciò che ancora rimane di libera stampa. Ma l´autocrazia sta emergendo rapidamente dalla sistematica distruzione dello stato di diritto e delle garanzie che ne costituiscono l´essenza.

Siamo ora arrivati alla fase decisiva di questo scontro tra democrazia e autocrazia. Di qui l´asprezza dei toni e la necessità di una strategia che non si limiti alla pura e semplice resistenza. Di qui i problemi e il destino del centrosinistra. Di qui infine il ruolo di Romano Prodi e il significato della sua battaglia politica.

* * *

Negli ultimi giorni quello che era sembrato un conflitto soprattutto personale tra Prodi e Rutelli ha rivelato meglio la sua vera natura. Che non coinvolge soltanto Rutelli e non coinvolge soltanto una parte della Margherita, ma attraversa trasversalmente tutto il centrosinistra.

Esso è infatti pienamente concorde nell´opporsi al tentativo berlusconiano di instaurare l´autocrazia ma è profondamente diviso nella costruzione di una strategia innovativa e alternativa, d´una piattaforma capace di compattare la lunga alleanza dei partiti d´opposizione e attirare la vasta parte del corpo elettorale incerta e disincantata dal modello autocratico che la destra ripropone con ormai esplicita chiarezza dopo gli iniziali infingimenti liberistici.

Esso infine, il centrosinistra, è diviso nel misurare il vero livello della sfida, che non riguarda soltanto problemi domestici ma si gioca su un livello europeo e internazionale perché le tendenze autocratiche affiorano su un ampio scacchiere, sollecitate da una globalizzazione priva di contrappesi istituzionali e politici.

È del tutto evidente che una sfida di questa natura e di così alto livello richiede d´essere affrontata da forze robuste e coese, sorretta da opinioni pubbliche partecipanti e consapevoli. Uno schieramento frammentato in otto o nove sigle di partiti, il più forte dei quali rappresenta un quinto dei voti espressi e il più piccolo supera di poco l´uno per cento ed è tuttavia indispensabile disponendo per conseguenza di un suo diritto di veto sui programmi, le scelte di fondo, le candidature e la selezione della classe dirigente; uno schieramento siffatto è del tutto inadatto ad assumere sulle sue spalle un compito così arduo che deve articolarsi in un programma istituzionale, politico, sociale, economico, inquadrato in una coerente visione del nostro ruolo nel quadro della comunità internazionale.

Il disegno federatore di Prodi risponde alle esigenze della situazione e ne è la sola risposta valida; ma presuppone appunto che la federazione da lui auspicata non sia una scatola vuota ma un soggetto politico al quale i partiti partecipano conferendo larga parte dei loro poteri attuali, del resto non spendibili nella frammentazione esistente e di fronte alla compattezza autocratica dell´avversario.

Il negoziato per arrivare alla soluzione auspicabile si prospetta graduale ma non può esser spinto troppo lontano nel tempo. Le elezioni regionali di aprile rappresentano una tappa non risolutiva ma comunque essenziale dell´intero percorso, sicché tutto dovrà esser chiarito entro i primi giorni di febbraio.

Il congresso dei Ds, che appunto avrà luogo in quei giorni, è dunque un momento decisivo di questo percorso, difficile quanto indispensabile.

* * *

La sinistra riformista e il suo leader, Piero Fassino, ha svolto in questa fase accidentata un compito importante.

Si è assunta ampie responsabilità cercando di mantenere stabile un´alleanza scossa da molte sortite e da improvvide impennate, da gelosie e rivalità, da inutili iniziative volte a guadagnare effimere visibilità. Ancora in queste ore il segretario diessino è impegnato a risolvere la questione delle liste regionali, questione forse minore ma indubbiamente propedeutica al più vasto disegno politico dell´unità operativa.

Tuttavia l´appuntamento decisivo per il più forte partito dell´opposizione sarà il congresso. Sembrava fino a poco tempo fa un appuntamento più rituale che di scelte politiche: la mozione del segretario (e lui medesimo come riconfermato leader del partito) ha ottenuto nelle votazioni di base l´80 per cento dei consensi. Sembrava dunque che il congresso non dovesse far altro che celebrare una salda unità e adempiere all´elezione degli organi dirigenti.

Invece non sarà più così o non dovrebbe più esser così se il maggior partito dell´opposizione vuole essere all´altezza delle sfide da affrontare e della vittoria da conseguire. Molte e qualificate voci hanno già auspicato nelle scorse settimane che questo salto di qualità avvenga, a cominciare da Alfredo Reichlin e da Giorgio Ruffolo, da Giorgio Napolitano e da Giuliano Amato. Aggiungo ad esse anche la mia, da cittadino interessato a un confronto politico e ideale che, quali ne siano le sorti, arricchirà la democrazia italiana e le darà spessore morale e culturale.

Il maggior partito della sinistra credo sia ben consapevole che il suo 20 per cento di rappresentanza è troppo e allo stesso tempo troppo poco. Troppo per rifugiarsi nell´irresponsabilità di un partito minore. Troppo poco per rivendicare un´egemonia sugli altri membri dell´alleanza.

Incombe dunque al suo gruppo dirigente di annunciare la sua disponibilità di conferire alla federazione guidata da Prodi i poteri necessari a renderla un soggetto politico impedendo che altro non sia che una sorta di circolo bocciofilo per anziani. Disponibilità e anzi richiesta netta agli altri consorti di procedere su quella strada aprendo finalmente un cantiere programmatico all´insegna di tre principi essenziali che sono poi da duecento anni quelli della democrazia, del socialismo e del cattolicesimo democratico: libertà, eguaglianza, solidarietà.

Il cantiere programmatico dovrà declinare quei principi in termini moderni e appropriati a correggere e rilanciare la globalizzazione, ma quello è l´orizzonte ideale e la piattaforma etico-politica che non potrà esser tradita se il duro confronto con l´avversario debba avere serie prospettive di successo.

Post scriptum. L´amabile vicepresidente del Consiglio, Marco Follini, in un´intervista del 4 gennaio al Corriere della Sera difende a spada tratta le nomine di Guazzaloca e di Pilati a membri dell´antitrust (nominati da Pera e Casini). "Il budino si giudica dopo averlo mangiato", ha sentenziato Follini. Cioè tra cinque anni. Ne hanno di tempo i due nominati per arrecare danni al paese, per totale incompetenza l´uno, per evidente conflitto di interessi l´altro.

Nello stesso giorno su Repubblica il redivivo Giulio Tremonti, interrogato sul medesimo argomento, invece di rispondere alle domande sulla qualità dei due nominati, si è lanciato in un ampio ragionamento dal quale emerge che la legislazione contro i trust e i monopoli è radicalmente sbagliata e, ovunque esista, andrebbe abolita o fortemente mitigata perché... la Cina è vicina.

Lascio ai lettori di giudicare questo genere di risposte nonché i criteri con i quali i presidenti delle Camere hanno fatto uso dei poteri loro conferiti dalla legge per designare i componenti della principale autorità di garanzia, titolare anche del potere di vigilanza e di sanzione sui conflitti d´interesse del presidente del Consiglio.

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