A due anni dal crack della Parmalat, con mezzo mondo bancario inquisito per aver piazzato presso i risparmiatori titoli che si sapevano marci, col banchiere difensore dell'interesse nazionale in galera e il suo ex governatore in pensione forzata, il governo Berlusconi-Tremonti detta la sua versione della tutela del risparmio, cioè dei nostri soldi: permettere alle imprese di falsificare i bilanci e al governo di prendersi anche la Banca d'Italia. Appena sparita dalla scena (fuori tempo massimo) la massa ingombrante di Antonio Fazio, ecco riapparire nuda e cruda la massa critica del coagulo di interessi che ci governa. Litigiosa, contraddittoria e in affanno quanto si vuole, ma al momento cruciale sempre cementata dal solido principio proprietario: chi vince (o compra) prende tutto. Ognuno è padrone in casa propria, e pazienza se la «casa» coincide con la cosa pubblica. La questione del falso in bilancio, che aveva inaugurato la legislatura, la chiude simbolicamente e scandalosamente. Sotto il roboante titolo della Tutela del risparmio e sull'onda emotiva dello scandalo che ha travolto l'unica istituzione che era uscita indenne dalla prima repubblica, il governo si presenta alle camere chiedendo di alleggerire la repressione penale per chi trucca i bilanci delle società. E impone la fiducia su un testo che spacca il capello in quattro tra reato di «danno» e di «pericolo», che chiude un occhio su truffe in modica quantità, che salva le società non quotate. Anche se non ci fosse in corso un processo che riguarda il capo del governo e la sua società (non quotata), ci sarebbe da chiedersi con che faccia si possa spacciare tutto ciò per Tutela del risparmio.
Il resto segue, e va nella stessa direzione. I criteri di nomina del nuovo governatore, che mettono il pallino nelle mani del governo, e più ancora di questi i nomi che circolano in queste ore - tra i quali c'è addirittura un fresco ex-ministro della stessa maggioranza di governo - rischiano di mettere una pietra sull'indipendenza della Banca d'Italia, completando così in pochi giorni il lavoro avviato da Fazio, con la sua ostinata resistenza a muoversi, negli ultimi mesi. Il pasticcio sui poteri in materia di concorrenza tra le banche, attribuiti in comproprietà a Bankitalia e Antitrust, rivela la scelta di non scegliere dopo due anni di braccio di ferro sull'argomento. E le foglie di fico sulla tutela dei risparmiatori, con l'istituzione di un ridicolo garante - un altro dipartimento da istituire in fretta e furia presso la presidenza del consiglio, magari per amministrare quell'altro ridicolo «fondo» che la legge finanziaria mette a disposizione delle vittime dei crack: quali vittime? con che criteri? e con quali soldi? Il riccone che ha speculato e ha perso, o il pensionato che si è lasciato convincere a investire la sua liquidazione in bond Cirio?
La stagione dei crack, degli scandali e dei furbetti sembra così chiudersi con la vittoria dei furboni. Tramontato Fazio, Tremonti si gode la sua rivincita, Berlusconi - il cui ruolo dietro le quinte delle scalate non è ancora ben chiaro, ma il cui atteggiamento pilatesco sulla vicenda Bankitalia è stato chiarissimo - mantiene ferma la cifra di tutta la sua vita politica: l'interesse personale. Forse stanno ancora decidendo se a questi scopi sia più utile piazzare in Banca d'Italia un governatore amico - Ciampi permettendo - o cercare un'intesa bipartisan sul nome del futuro governatore - magari un nome che salvi anche la faccia dell'Italia. Ma nell'attesa del nome resta la sostanza. E resta quel piccolo comma sul falso in bilancio, imposto con voto di fiducia, che illumina l'intera operazione.