Cissè, Mohammad, Azar, Abdou, Bathie, Babacar, Sammadi, Sikdar, Sow, Melick... sessanta uomini pigiati in 120 metri quadri. Materassi in terra, pavimento nudo, latrina accanto alla cucina, fili elettrici che pendono a mazzi dal soffitto e che piovono dalle scatole vuote degli interruttori. Un luogo nascosto e nemmeno tanto segreto di una strada romana del Pigneto, ex quartiere popolare che sta diventando di moda: case ridipinte, stucchi ritoccati, colori pastello e botteghe trendy. Qui il prezzo delle case ha ormai superato i 4.000 euro al metro quadro, ma per chi abita al numero 97 è tutta un´altra storia: si paga per passare una notte all´asciutto, sia pure stesi in terra; si paga 100-150 euro a testa per riposare con un cuscino sotto il capo. E se non c´è il cuscino c´è un rotolo di stracci in due metri di cemento preziosi, da sfruttare a turno. Uno si alza per andare a vendere accendini e un altro si riposa.
È il cosiddetto "posto testa", una vergogna diffusa in tutti i ghetti urbani della capitale e non solo. E loro sono i "migranti", i senza casa e senza diritti. Senegalesi, bengalesi, nigeriani, pachistani che a migliaia si nascondono nelle pieghe della città. Disposti a spendere anche un quarto della loro paga non per avere una stanza o un letto, ma il diritto di dormire. Anche semplicemente in terra.
«Che dobbiamo fare? Dove possiamo andare?», dicono.
Il vero pericolo per questi disperati è trovarsi senza un tetto, per quanto pericolante e infiltrato dall´acqua, e senza nemmeno quello spicchio di cemento detto "posto testa" dove poter chiudere gli occhi (e rompersi le ossa) quando fuori è freddo.
È per questo che Bilal, del Bangladesh, non ha problemi a raccontare che dalle parti di Porta Maggiore dorme assieme ad altri 6 connazionali ogni notte in un buco di stanza. Un solo letto su cui giacciono a turno. Ma guai a fartelo vedere: «Se qualcuno lo dice al padrone, quello ci scaccia». E la stessa cosa ci dice Baku, anche lui del Bangladesh, raccontando di come per un anno intero ha pagato per ottenere un "posto testa" a Centocelle: «Mi stendevo davanti alla porta di un bagno e tutti quelli che dovevano andarci mi dovevano scavalcare». La conferma arriva anche da Azar, un albanese che assieme ad altri 7 dalle parti di via Turati si divide 15 metri quadri di pavimento e un solo letto a turno per 600 euro al mese. E lì accendono bombolette e fornelli, stufe e lampadine appese a fili di fortuna, fissati alla meglio con un chiodo alle pareti. Ogni giorno e ogni notte a rischio della vita. Stessa sorte di Joseph, indiano, senza permesso di soggiorno, che paga 150 euro al mese per un letto apribile: «Siamo in 5 in una stanza - dice - In genere chi arriva prima si mette sul divano e chi arriva dopo si sistema in terra. A me non pesa molto, l´unica cosa è che al risveglio ho un po´ di mal di schiena. Ma ora abbiamo deciso di fare i turni».
Non è stato facile arrivare a uno di questi luoghi di miseria e sopravvivenza, protetti dalla diffidenza dei loro abitanti.
Ma alla fine eccolo l´inferno, dietro un portoncino anonimo come tanti altri. Entriamo. È buio pesto, i fasci di fili scoperti non portano a nessuna lampadina. E dentro senegalesi, che sopravvivono con la vendita dei cd pirata. Un posto-testa? Un metro quadrato a pagamento per sdraiarsi in terra e dormire al riparo della pioggia? No, qui è peggio. «A volte in tutta la palazzina siamo anche novanta, e allora si dorme dovunque, sulle scale, sui balconi e se serve anche nel bagno». Eppure il padrone di casa li chiama appartamenti.
Ecco un´altra casa: tre passi da una parte e poi cinque dall´altra. Quindici metri quadrati, forse meno. Con dentro una cucina alimentata a bombola e qualche tramezzo di cartongesso per chiudere una minuscola latrina coperta da muffe. Nello spazio che resta ci vive Elisabeth, peruviana di 38 anni, con marito e due figli, più uno in arrivo. «Sono incinta di 5 mesi, almeno credo». Affitto 550 euro, più le spese. E non è neanche l´alloggio peggiore.
Basta arrivare al piano di sopra, dopo essersi arrampicati per una scala buia con le pareti sporche e unte di grasso. Sul pianerottolo un secchio d´immondizia. Dentro un pezzo di terzo mondo per come lo raccontano i documentari: odore di chiuso e umidità, mucchi di gommapiume putride, stracci, cuscini ammassati in terra, borsoni pieni di cd. Sikdar, senegalese, spiega che questo marciume risponde a una ferrea logica economica. Se uno possiede un palazzo cariato dal degrado, lo affitta al nero spezzettandolo in loculi infami a qualche centinaia d´immigrati che non hanno la minima possibilità di protestare o di trattare il prezzo; e così ricava proprio da loro, i più disperati, i soldi che gli serviranno per ristrutturare la casa e metterla infine linda e pinta sul mercato immobiliare. Infatti tutti gli sfruttati, una volta spremuti, poi ricevono l´avviso dello sfratto. I poveri sono un grande affare, due volte.
Sono le 14. Dall´"appartamento" di Melick un refolo di odore di zenzero e cumino taglia quello delle muffe e del sudore. In terra c´è la tovaglia: dei giornali vecchi stesi con accuratezza. La fiamma del gas lampeggia a cinque palmi da una valigia piena di stracci. Dalla latrina si spande minacciosa una perdita d´acqua che già bordeggia un materasso. Finestre non ci sono. E se scoppia un incendio? Risposta: «Qualcuno muore, come è successo con i due bengalesi a piazza Vittorio. Che dobbiamo fare?». Quanto pagate per questo buco? «Seicento euro». Ci vivono in cinque. I giacigli di fortuna sono talmente vicini che per mettersi in piedi, vestirsi e imboccare la porta d´uscita tocca fare a turno. «Ma ora siamo pochi. D´estate è peggio, anche se ci si può sdraiare sul terrazzo». E le donne? «Non ce le portiamo qui le nostre donne, fa troppo schifo». Nel palazzo ci sono altri otto vani come questo, di 10-15 metri ciascuno, "servizi" compresi. E per ognuno nelle tasche del proprietario vanno dai 400 ai 600 euro.
Il fotografo inquadra feci di topo grandi come noccioli di oliva e pezzi di gomma piuma arrotolati, pronti ad essere usati per la notte. Eppure Mohammad, Abdou e Sharani ringraziano il cielo di vivere comunque sotto un tetto «perché il rischio è di perdere anche questo». Così come a Porta Maggiore il bengalese Abdil trema all´idea di perdere una striscia di pavimento per cui paga 200 euro al mese con altri cinque. «Perché dovremmo denunciare i proprietari? - dice in piazza Vittorio uno dei capi della comunità del Bangladesh - . Forse per avere un´altra presa in giro? Chi ha denunciato fino a oggi ha avuto un solo risultato: s´è ritrovato in strada. Senza neanche un posto-cuscino».