Il quadro politico si sta chiudendo intorno a noi, stretti nella morsa di chi manovra al centro per espungere l'anomalia di una sinistra antagonista al governo e il nostro corpo sociale sempre più deluso. Marco Revelli su questo giornale, la redazione di Carta e molti altri che scrivono sulle reti dei movimenti pacifisti, dei lavori precari e delle comunità locali impegnate in vertenze contro gli effetti devastanti del neoliberismo, segnalano l'aprirsi di una lacerante separazione tra le istanze di movimento e la società politica. E' una crisi che viene da lontano - un fallimento delle ipotesi egualitarie della democrazia rappresentativa liberale, come ci dice Paul Ginsborg su La democrazia che non c'è - e che nemmeno i governi di ispirazione progressista e di fede democratica sembrano attrezzati a contenere. Eppure, qualche speranza era stata accesa dai modi decisamente innovativi con cui si costruì la coalizione dell'Unione attorno al programma elettorale e alla felice invenzione delle primarie. Rifondazione stessa - la novità della coalizione - portava con sé un laboratorio di pratiche di «internalità» ai movimenti nati a Seattle, maturati a Porto Alegre, esplosi a Napoli, Genova, Firenze e affermatisi con il «popolo della pace». Poi a Melfi, Scanzano, Val di Susa, fino a Vicenza, in mille e mille «cortili d'Italia» a difesa dei beni comuni. Coscienza di classe, di genere, di luogo, di specie... intrecciate nel tentativo di ricomporre una visione del mondo planetaria, pacifica, ambientalmente sostenibile, cooperante e economicamente equa.
Di fronte alle dure repliche della guerra e del mercato, queste posizioni sembrano oggi perfino ingenue, prive di incidenza, «inefficaci» nei confronti di una logica di governo che procede su binari predefiniti. Anche il governo Prodi sembra rifluire dentro il tran-tran dei vecchissimi centro-sinistra. Prevale la governabilità, la stabilità del quadro politico, il rispetto degli «impegni precedentemente assunti», dei «vincoli» monetari e militari internazionali, l'affermazione di astratti «interessi generali» dell'economia contro le istanze «particolari» degli abitanti, dei pensionati, dei giovani, dei migranti... Accettato questo quadro politico come il migliore possibile, comunque privo di alternative, ne discende conseguentemente la sua blindatura. I tentativi delle sinistre di dare corso alle aspettative dell'elettorato o anche solo di rispettare i programmi pattuiti con gli alleati vengono denunciati come pericolose azioni destabilizzanti. Paradossalmente sono proprio le sinistre (prive in realtà di alcun vero ruolo di comando e orientamento generale del governo) a apparire come i più strenui difensori del governo, dando l'impressione di sacrificare su quest'altare le rivendicazioni della propria parte.
In maggiore sofferenza appare Rifondazione, che ha rappresentato precisamente il tentativo di dimostrare che un partito politico avrebbe potuto tenere in relazione bisogni, aspirazioni, obiettivi di trasformazione della società, e istituzioni politiche rappresentative. Ciò che Revelli chiama : «fare rappresentanza di ciò che muove in basso». Alcuni traggono da ciò la conclusione che un equivoco si sarebbe definitivamente consumato e che per le sinistre d'alternativa vi sarebbe un'incompatibilità ontologica con le funzioni di governo: da agenti della trasformazione a guardiani dei movimenti. Altri pensano invece che la contraddizione potrebbe risolversi positivamente riuscendo a rafforzare il peso delle sinistre (tramite un loro allargamento e una unificazione), e così facendo si potrebbe spostare in avanti l'asse delle mediazioni politiche. Ma forse, per usare le riflessioni di Fausto Bertinotti nella Città degli uomini, il suo ultimo libro, serve di più.
Servirebbe sottoporre a critica il concetto di politica come sfera separata, autosufficiente e sovraordinata rispetto alle relazioni sociali - inevitabilmente conflittuali - che animano il vivere quotidiano. Alla politica del potere, come tecnica di perpetuazione del dominio dei più forti, bisognerebbe sostituire la politica dell'esperienza concretamente vissuta. In fondo, a ben guardare, la distanza crescente tra decisioni assunte nelle stanze dei rappresentanti politici e ciò che succede nel paese reale ha spiegazioni molto semplici, come nel caso più estremo, quello della partecipazione (diretta o fornendo la logistica) alle guerre scatenate dagli Usa: l'imposizione di scelte impopolari agli occhi della stragrande maggioranza degli elettori, oltre che estranee al sentire comune. Anche volendo lasciare fuori dalla porta il dibattito sul rapporto tra etica e politica potremmo attenerci al criterio della partecipazione e della condivisione: «Una mediazione buona non può che essere una mediazione capace di coinvolgere il popolo interessato nella sua condivisione; allo stesso modo, una mediazione cattiva è, per certo, quella che viene realizzata in condizioni di separazione dalla rappresentanza della volontà popolare» (Bertinotti, p.107).
Il passo successivo, per una politica di sinistra, è quindi portare lo scettro della sovranità sempre più giù, nelle sfere più basse della società, nei territori, nelle comunità locali degli abitanti e dei produttori e sancire che nessuno può avocare il diritto di sacrificare il benessere di altri, per nessuna ragione. Le notizie che ci vengono da Serre, da Aprilia, da Livorno, da Brindisi, da Civitavecchia, da Roncade, da San Piero di Rosà... ci dicono che la rinascita della politica deve chiamarsi con questi nomi.