INVIATO A CALCIO (BERGAMO)
La scritta spennellata di blu sul muro di via Aldo Moro è apparsa l’altra notte: «Fiducia e onore ai nostri e a tutti i carabinieri». Nemmeno fossimo a Nassiriya e non in questo paesino di cinquemila abitanti scarsi in provincia di Bergamo, ma più vicino a Brescia, dove sette carabinieri su otto sono finiti in galera o, comunque, nei guai per una storia balorda di pestaggi e razzie ai danni degli extracomunitari della zona. «Aspettiamo che la magistratura finisca l’inchiesta, non me la sento di dare giudizi...». E’ fin troppo cauto Pietro Quartini, fotografo con il negozio in piazza, sindaco di una lista civica più la Lega, preoccupato soprattutto per la sicurezza, 130 mila euro solo per venti telecamere lungo via Giovanni XXIII e poi si scopre che i «cattivi» avevano la divisa e nel dopolavoro facevano gli straordinari a modo loro.
I magistrati di Bergamo hanno contato almeno dieci raid, il primo a novembre di due anni fa, l’ultimo il mese scorso. Durante i controlli ai danni di albanesi, rumeni o nordafricani, sparivano cellulari e banconote, orologi e pure droga, 50 grammi di cocaina mai denunciati a verbale. «Ti giuro, li ho picchiati con cattiveria...», si vantava al telefonino intercettato il maresciallo Massimo Deidda, «Herr kommandant» per tutti gli altri carabinieri di Calcio, tutti quelli finiti nell’inchiesta che non sembra scuotere più di tanto questo paesino del Nord sprofondato tra i campi.
Con le inferriate alle finestre
In piazza San Vittore c’è la chiesa, il bar Extasis e il bar Pavone dove si fanno vedere tutti. All’ora dell’aperitivo non si parla di altro. «A mia madre sono entrati in casa tre volte. Adesso ha le inferriate alla finestra che sembra un carcere. A me hanno rubato la macchina. Vuole che mi preoccupi se i carabinieri davano fastidio a quelli là?», si sfoga uno con la camicia arancione e la bicicletta, professione imbianchino, ogni giorno su e giù verso Milano perché di lavoro qui ce n’è poco, qualche fabbrichetta poco più che artigianale, un paio di allevamenti, più maiali che vacche, dove gli extracomunitari lavorano come bergamini nelle stalle. «Questo è un paese tranquillo. I carabinieri collaboravano con i vigili urbani a mantenere l’ordine. Se poi hanno sbagliato, lo stabiliranno i magistrati...», ripete come in un ritornello il sindaco, preoccupato di non far apparire Calcio come il Bronx, doppiamente preoccupato dalla presenza degli immigrati. «Gli stranieri regolari sono cinquecento, con i clandestini sono il doppio. Più del 10 per cento degli abitanti».
«Prima o poi lo pettiniamo»
A sentire chi va all’oratorio del Sacro Cuore dietro la chiesa di San Vittore o a passeggio lungo via Giovanni XXIII, Calcio è un paese tranquillo. «Qualche furto in casa, soprattutto zingari. Un’auto rubata ogni tanto. Un po’ di droga, come ovunque...», quasi non si lamenta uno con la camicia blu seduto al bar Pavone, lungo la strada che porta verso Milano e il nulla dei campi. Una delle zone preferite da «Herr kommandant» e dai suoi carabinieri ai quali ogni tanto si aggiungevano un paio di vigili urbani di Cortenuova. Uno di loro, Andrea Merisio, ha già ammesso tutto. Difficile negare dopo che i magistrati gli hanno fatto sentire la telefonata intercettata in cui il maresciallo Deidda gli parla di un piccolo spacciatore: «Prima o poi lo pettiniamo, la mano di Dio lo colpirà». E lui che ride e non si capacita di come sia possibile che un marocchino - l’ultimo episodio accertato, lo scorso 8 giugno - si sia buttato da una finestra, ferendosi gravemente, per non farsi prendere: «Perché, anziché finire nelle nostre mani, preferiscono suicidarsi?».
Xenofobi in erba
«Va beh, cosa hanno fatto di male?», si chiedono in troppi in questo paese dove non c’è niente di niente e quando fa troppo caldo si va come in processione fino alle Acciaierie, un centro commerciale imponente come una cattedrale, centosettantacinque negozi, un ipermercato e l’aria condizionata che sembra di essere in montagna. E si va anche quando fa troppo freddo e la sera fa buio presto, avanti e indietro sotto ai neon e le luci artificiali di questo non luogo dove il tempo non passa mai. «Almeno lì non ci sono extracomunitari...», dicono in coro tre ragazzini a cavallo degli scooter nel campetto di via Onorato, dietro la parrocchia. «In paese ci sono bar dove trovi solo loro. Rapporti? Nessuno. A noi quelli lì danno fastidio, non lavorano e hanno la Mercedes o la X5», spiegano questi xenofobi in erba, venuti su a noia e televisione, televisione e noia. «Abbiamo sentito il telegiornale. Non sappiamo niente. In casa non si parla di queste cose».
Tra le «favelas»
Chissà di cosa si parla in queste palazzine tutte uguali, poche villette, il giardino è un lusso, tirate su con a fatica e lavoro. Chissà cosa si dice degli extracomunitari ammassati alla Stretta, in quel dedalo di casette con le paraboliche. Qualcuno le chiama «favelas», per i carabinieri del maresciallo Deidda erano il «terreno di caccia». Il luogo ideale per i safari contro gli stranieri, come lo stradone che da Calcio va alle Acciaierie dove si appostavano soprattutto il venerdì sera, niente divisa, una Panda nera con la targa falsa o un’auto dei vigili di Cortenuova con le insegne coperte. Così per due anni, prima che un carabiniere e poi un vigile raccontassero ai magistrati quello che forse sapevano tutti e di cui tutti adesso parlano. Tutti meno gli albanesi e i marocchini seduti davanti al caffè del bar a cinquanta metri dalla piazza della chiesa. «Noi non sappiamo nulla. Noi lavoriamo e basta». Non vuole dire di più, è un nordafricano visibilmente impaurito che ogni mattina si alza alle cinque per andare a lavorare come muratore a Milano. Silenzioso come i carabinieri che hanno mandato due giorni fa a rimpiazzare i loro colleghi finiti in manette. Preoccupato come gli abitanti di Calcio, Càls sul cartello all’inizio del paese dove si avvisa del «divieto di sosta o di campeggio per roulottes, caravan o case mobili» e che al bar insieme all’aperitivo mandano giù anche questa storia: «Se non è stata denunciata prima, vuol dire che i carabinieri colpivano nel giusto».