La ricerca della Confesercenti sul fatturato delle mafie, calcolato 90 miliardi di euro, colloca la Mafia SpA al primo posto tra le aziende italiane. Ma la cifra è per difetto dal momento che si tratta del “fatturato commerciale”, quello che riguarda da vicino la vita e l’attività regolare degli esercenti. Se a questo aggiungiamo la voce più significativa che è quella della droga, seguita dal traffico di armi, il fatturato totale diventa ancora più impressionante. Per quanto riguarda la sola cocaina di cui la ‘ndrangheta, per i rapporti con Mancuso, leader dei cocaleri, rinchiuso in un carcere d’oro della Colombia e non estradabile in virtù dei buoni rapporti con il presidente Urribe, si calcola che il fatturato sia 60 volte quello della Fiat che nel 2006 è stato di 13 miliardi di euro. Si tratta quindi di una potenza economica che se potesse entrare nelle graduatorie ufficiali farebbe impallidire gruppi come Telecom, Eni, Fiat, Fininvest, ecc. A tutto questo va aggiunto che il valore dei patrimoni consolidati della mafie viene stimato 1000 miliardi di euro e cioè 2 milioni di miliardi di vecchie lire e che secondo la Dia (direzione investigativa antimafia) gli affiliati, dedotti dalla densità criminale delle regioni meridionali sarebbero (dati del 1993) un milione e ottocentomila. Sarebbe sufficiente confiscare e vendere il 20 per cento dei patrimoni per risolvere il problema del debito pubblico e dei servizi prioritari.
Ma non è finita. La maggior parte dei proventi delle attività criminali viene investita in economia legale, con la conseguenza di turbare profondamente i mercati e la concorrenza sul mercato interno e la competitività delle imprese sul mercato globale, dal momento che nessun imprenditore costretto a prelevare denaro in banca può reggere la concorrenza. È sufficiente osservare il livello di cementificazione del paese per rendersi conto che non è dovuto alla domanda di case a prezzi di mercato quanto alla necessità di lavare denaro sporco. La verità è che la finanza legale non ha più confini certi e si mescola ogni giorno con la finanza criminale o comunque illegale, compresa quella che serve per organizzare il terrorismo. Altrimenti i paradisi fiscali, che nessuno chiede di chiudere, a cosa servirebbero?
Nel nostro Paese, almeno un terzo della ricchezza prodotta, essendo illegale e criminale, evade fisco e contributi, per cui il peso di mantenere il Paese ricade sul rimanente 65-70 per cento della ricchezza prodotta, alla quale concorrono lavoratori dipendenti, imprenditori, finanzieri senza scrupoli, banche e società finanziarie, che tutti insieme si dividono il carico fiscale del Paese. L’Italia, con il governo precedente e il cosiddetto scudo fiscale, è riuscita persino a fare una grande operazione di Stato di riciclaggio. Altra considerazione: quando partecipo a convegni sulla mafia nel nord del Paese, scopro che gli amministratori locali (non sempre in buona fede) e i cittadini disinformati, pensano che le mafie siano un problema del sud e ignorano che i soldi da ripulire oltre che in tanti altri Paesi del mondo (la ‘ndrangheta investe il 12-13 Paesi) vengono investiti soprattutto nelle regioni del nord. Ma se qualcuno osa dirlo, i sindaci replicano subito che si vuole creare discredito. Poche sere fa ero a Busto Arsizio, in un teatro pieno di giovani e ho informato i presenti che la loro città è al centro degli affari di alcune cosche siciliane e calabresi tra le più note del paese. Inoltre, una di queste, che è di Gela, si è introdotta anche a Pavia e con attività immobiliari.
Sono novità che hanno colto di sorpresa i governanti che negli ultimi 30 anni si sono succeduti? Assolutamente no. Nel 1983 Giovanni Falcone aveva spiegato come tutto sarebbe cambiato con la raffinazione della morfina in Sicilia e l’esportazione di eroina negli Stati Uniti in cambio di valige di dollari portati a spalla e quello che sarebbe avvenuto «nell’intero arco dei Paesi europei utilizzando il nuovo spazio come terreno fertile per investire, con le buone o con le cattive, in attività lucrative di ogni genere, le migliaia di milioni di dollari che si ricavano dalla produzione e dallo smercio di qua e di là dell’Atantico di eroina e di altri stupefacenti». Nel 1992, nella sua ultima intervista che ne ha accelerato l’assassinio, Paolo Borsellino, del quale ancora oggi non si conoscono i mandanti, diceva le stesse cose. Ora siamo al fallimento e alla sconfitta. L’11 Luglio 2007 nella commissione antimafia Giuseppe Lumia ha detto: «siamo a 25 anni da quella straordinaria intuizione della legge Rognoni - La Torre e siamo a 11 anni dall’approvazione della legge 109 del 1996: per la confisca dei beni i tempi sono insopportabili e le confische sono diminuite». Violante aveva definito sull’Unità una vera vergogna le confische mancate.
Non c’è alcun tumore maligno con metastasi che consenta di intervenire dopo 25 anni dalla sua diagnosi. Purtroppo lo Stato ha alzato da tempo bandiera bianca e ha delegato alle forze dell’ordine e alla magistratura il problema più politico di questo paese e, cronaca di questi giorni, impedendo persino di operare ai magistrati più tenaci e capaci.