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Pietro Graco
La misura del pericolo
13 Aprile 2010
Articoli del 2010
Se il territorio, nella nostra “costituzione materiale”, viene considerato solo qualcosa da “valorizzare”, perché studiarlo, analizzarlo, rispettarlo, tutelarlo? L’Unità, 13 aprile 2010

È accaduto dove, forse, l'evento era meno atteso. La frana che ha investito il treno e ha ucciso nove persone è venuta giù in una regione, il Trentino Alto Adige, che per costituzione fisica e qualità della politica ambientale è tra quelle meno esposte al rischio idrogeologico. Ma è avvenuta. E, a quanto pare, per la cattiva gestione di un sistema di irrigazione. Ovvero, per una piccola mancata tutela del territorio che ha avuto un effetto tragico. Il che non può affatto consolarci. Anzi, dovrebbe indurci a una maggiore riflessione.

Il Trentino Alto Adige, dicevamo, è per costituzione fisica una delle regioni meno esposte in Italia: solo il 33% dei comuni e l'1,8% del territorio sono classificati a rischio idrogeologico. In Italia la media è del 70% dei comuni e del 7,1%% del territorio. Ci sono regioni - la Calabria, l'Umbria e la Valle d'Aosta - in cui il 100% dei comuni è classificato a rischio. In Valle d’Aosta, regione alpina in apparenza simile all’Alto Adige, l'area a rischio è pari al 20,2%: un’estensione relativa dieci volte superiore a quella trentina. Il rischio idrogeologico è la somma del rischio alluvioni e del rischio frane. Ebbene in Trentino, come in Val d’Aosta, il rischio frane è di gran lunga la parte dominante del rischio complessivo. L’area franosa è pari, tuttavia, per all'1,7% dell’intero territorio: un’estensione relativa molto maggiore che in Sardegna (0%), Puglia (0,1%), Veneto (0,2%), Sicilia (0,5%) e Friuli Venezia Giulia (1,3%); ma comunque molto minore che in Val d'Aosta (19,5%), Campania (11,8%), Molise (11,2%) ed Emilia Romagna (10,0%). Tuttavia una buona gestione del territorio può minimizzare il rischio. E non c’è dubbio che il Trentino Alto Adige, pur tra qualche contraddizione, è tra le regioni italiane che mostrano sia una più sviluppata cultura ecologica diffusa - è, per esempio, la regione che storicamente ha sviluppato prima e meglio la gestione integrata dei rifiuti - sia una più attenta politica ambientale da parte delle istituzioni locali.

La frana di ieri mostra che ancora non basta. Che l'attenzione da prestare al territorio deve fare un ulteriore salto di qualità. E se ciò è vero in Trentino Alto Adige, è tanto più vero nel resto d'Italia. Paese che per conformazione, storia e attualissime incurie è a elevatissimo rischio di dissesto idrogeologico. Ogni anno succedono, in media, 1.200 frane e 100 piene rilevanti, che nel complesso uccidono decine di persone. La cronaca ci dice che gli incidenti mortali possono avvengono a ogni latitudine: eventi luttuosi sono accaduti di recente non solo nella Calabria ad altissimo rischio, ma anche nella Sicilia a rischio minimo. Non solo nelle aree più povere, ma anche a Ischia, in Toscana e, ora, in Altro Adige. Perché? Certo ogni frana fa storia a sè. L’evento può dipendere tanto dalla natura del terreno quanto dall’incuria umana. La verità è che bisognerebbe saperne di più - realizzando per esempio mappe dettagliate delle aree a rischio - e bisognerebbe anche agire di più.

Agire di più significa fare del dissesto idrogeologico un’emergenza nazionale – la prima grande opera da realizzare – per porre in sicurezza le zone che possono essere consolidate e, al limite, evacuando le zone in cui il rapporto costo/beneficio dell’azione è proibitivo. Ora, senza volere affibbiare colpe specifiche a nessuno, non è questo ciò che sta avvenendo. La ricerca scientifica - in generale - e quella specifica (ci riferiamo, per esempio, alla umiliante situazione dell’ISPRA) è sottoposta dal governo Berlusconi a un combinato disposto di riduzione sistematica delle risorse e dell’autonomia.

A fare ricerca per la tutela del territorio sono sempre più strutture sottoposte a controllo politico e, in futuro, con forti intrecci di interesse con imprese private. Non è quello che ci vuole. Sul fronte dell’azione di tutela è ancora peggio. Non solo il dissesto idrogeologico non è una priorità del paese, ma è sempre meno contrastato. Basta andare in Calabria, a Messina, persino a Ischia nei luoghi di recenti e tragici eventi, e guardarsi intorno, per verificare che persino le azioni di contrasto dell’emergenza sono sostanzialmente ferme. E intanto si è gettata la prima pietra di un faraonico quanto, allo stato, socialmente inutile ed ecologicamente dannoso Ponte sullo Stretto in una delle zone più geofisicamente fragili della fragilissima Italia.

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