A Manfredonia (Foggia) stanno seppellendo una scogliera. A Is Arenas (Oristano) vogliono piazzare un golf resort & residence. A Francavilla al Mare (Chieti/Pescara) si stanno mangiando la spiaggia. A San Vincenzo (Livorno) portano cemento armato fino al mare. A Scala dei Turchi (Agrigento) c’è il solito Mnf (multipiano non finito), marchio ufficioso del Sud. A Teulada (Cagliari) si vedono le gru sul mare (di metallo, non con le piume). A Torvaianica (Roma) litania di casette sulla spiaggia. A Valle dell’Erica (Santa Teresa di Gallura) altri 26.455 metri cubi nella macchia mediterranea. Tra Ortona e Francavilla (Abruzzo) in costruzione «nodo strategico infrastrutturale per implementare il traffico con l’Est Europa»: a ridosso della battigia.
È solo un campione della situazione sulle coste italiane, segnalata dai lettori del Corriere (sette gallerie fotografiche su Corriere.it). Commenti? Uno solo. Occhio: se l’autonomia amministrativa è questa, ci mangiamo l’Italia. Anzi: finiremo il pasto, ci puliremo la bocca e faremo il ruttino.
Il meccanismo è lo stesso, sempre e dovunque: l’amministrazione comunale concede il permesso di costruire (l’inghippo normativo, con un po’ di buona volontà, si trova). La cosa piace ai costruttori locali e ai residenti-elettori: in tempi difficili, è lavoro. Turisti, visitatori e viaggiatori protestano; poi alcuni, a cose fatte, comprano la casetta a schiera e l’affittano in nero.
E così, ripeto, ci mangiamo l’Italia. Non solo le coste: in pianura e in montagna sta accadendo lo stesso (avviso: intendo seguire con attenzione le vicende edilizie dell’amatissima Castione della Presolana, dove il sindaco è stato rimosso e si sta per approvare il Piano di Governo del Territorio). La bulimia edilizia degli amministratori è impressionante: in un’economia che ristagna, sembra che l’unica soluzione sia sacrificare una fetta di territorio. Venite a vederle, le montagne bergamasche e le campagne padane, nelle mattine d’estate, quando la pioggia ha lavato l’aria e il sole incendia il colore dei prati. Capirete che dovrebbero essere sacre, dopo tutto quello che ci hanno dato.
Ha scritto un amico architetto, Marco Ermentini: «Le cascine sono un patrimonio importante nel paesaggio rurale e non solo, sono l’ultimo anello di congiunzione con la civiltà contadina. Quanto resisteranno all’assalto di villette e capannoni? Quando cederanno alle fameliche espansioni edilizie dei sindaci? Essi trattano spesso queste testimonianze con la delicatezza di Jack lo Squartatore».
Jack il Cementificatore, magari con la fascia tricolore: è l’ultima maschera italiana, peccato che il carnevale sia finito. Dalle Alpi a Lampedusa dovremmo invece appendere lo stesso cartello: IN RISTRUTTURAZIONE. L’Italia è da rimettere in sesto: c’è lavoro per tutti, e tanta soddisfazione, nel sistemare l’esistente. Ne guadagnerebbero l’economia, l’ambiente, il turismo e l’autostima. Invece, niente: divoriamo ogni giorno la nostra terra, come draghi stupidi che si mangiano la coda.