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Lagrime e sangue
27 Maggio 2010
Articoli del 2010
Nelle analisi di Loretta Napoleoni e di Paolo Leon i vizi e i rischi della manovra anticrisi: mortifica chi paga le tasse, premia gli evasori, lascia immutata la speculazione finanziaria. L’Unità, 27 maggio 2010

Loretta Napoleoni

La bancarotta resta

dietro l’angolo

Olanda e Germania sono tra i pochi Paesi di Eurolandia che questa settimana non hanno dovuto presentare in fretta a furia misure d’austerità. A differenza dell’Italia, sulla quale sta per cadere la scure di Tremonti, queste nazioni sono solide e per ora Non corrono il rischio di essere trascinate nel gorgo dell’insolvenza. Le altre, Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna e Gran Bretagna, da settimane lottano per la sopravvivenza.

La situazione è gravissima: come un de-ja-vu della crisi dei mutui spazzatura americani, solo che questa volta alla radice c’è il debito sovrano. Due anni e abbiamo raggiunto l’ultimo anello della catena di Sant’Antonio della finanza globalizzata: a chi passare il debito? Alla Banca Centrale Europea (Bce)? Improbabile. Secondo uno studio della Royal Bankof Scotland, quello accumulato da Grecia, Spagna e Portogallo ammonta a circa duemila miliardi di euro, di cui almeno un miliardo si trova nei forzieri di Eurolandia. Economisti e analisti finanziari concordano che neppure la partecipazione attiva della Germania potrebbe sanarlo. Non ci sono abbastanza soldi. Ciò significa che per evitare il crollo del sistema bancario qualcuno dovrà fallire. La prima in lizza è la Grecia. Sui mercati ormai tutti la danno per spacciata, solo la Bce le presta i soldi. I mille miliardi di euro messi a disposizione da Eurolandia non hanno convinto i mercati e senza di loro non si può procedere alla ristrutturazione del debito greco per ridurlo a cifre “pagabili”. Non rimane che la bancarotta e la successiva ristrutturazione come è successo per Argentina e Islanda. Nell’attesa che si arrivi a questa decisione e per attutire al massimo il colpo, la Bce rastrella sul mercato le obbligazioni greche, naturalmente utilizzando i soldi di noi i europei.

Salverà questo sacrificio il sistema bancario? Non è facile dirlo. Come avvenne nel 2008, i prestiti interbancari all’interno e verso Eurolandia si stanno atrofizzando, segno che i mercati temono il peggio. Il Libor, il London Interbank Offered Rate, quello al quale le banche si approvvigionano a vicenda, è risalito ai massimi del 2009, quando si temeva un congelamento totale dei prestiti interbancari. Allora intervenne la Riserva Federale, ma la Bce non ha i muscoli monetari per farlo. Fa paura pensare di essere tornati a quei momenti tragici del dopo Lehman e ancora più si teme il parallelo con la grande depressione del 1929 quando ci trovammo di fronte ad una crisi con due picchi, il secondo, quello micidiale, coincise con il crollo delle banche.

A tenere le redini del destino di Eurolandia non sono i ministri delle Finanze ma il mercato. Ed è per accattivarsi le sue simpatie che si è lanciata l’austerità, parola impronunciabile fino a poche settimane fa. Eppure da anni gli indicatori economici sono fuori dei paletti imposti dal trattato di Maastricht, solo mesi fa si sarebbero potute introdurre misure meno drastiche e improvvisate senza avere il fiato del mercato sul collo. Ma ormai lo sappiamo bene, questa classe politica lavora solo quando c’è la crisi e in gioco c’è la sua sopravvivenza, non quella del Paese che rappresenta, il resto del tempo fa spettacolo e campagna elettorale. Le misure varate rispecchiano questa triste verità. Fatta eccezione della Gran Bretagna, dove un nuovo governo di coalizione è stato da poco eletto sulla piattaforma di austerità, tutti gli altri Paesi hanno raffazzonato una serie di tagli che colpiscono quella fetta sempre più piccola della popolazione che paga le tasse e che invece bisognerebbe sostenere nei momenti recessivi. Chi negli ultimi vent’anni ha intascato più del 60%della crescita del Pil, dagli Hedge Funds al crimine organizzato, non viene toccato perché ha imboscato i guadagni, ha evaso il fisco o semplicemente opera nel mondo dell’illegalità. Ecco uno dei motivi per cui i cittadini europei questa austerità non la vogliono.

In Italia si cerca di addolcire la pillola con l’usuale propaganda: si abbattono i salari nominali e quelli sociali,ma ci si vanta di non aver aumentato le tasse. Viene spontaneo pensare che il motivo sia solo lo scarso numero di chi le paga. Si condanna l’ennesimo obbrobrio edilizio per poterlo accatastare invece di far pagare una penale salatissima a chi lo ha commesso e costringere costoro anche ad abbattere queste costruzioni come avviene in Inghilterra e nella maggior parte dei Paesi civili.

Propaganda, demagogia, austerità, neppure il bavaglio alla stampa salveranno la nostra classe politica e i loro tirapiedi dalla crisi economica. Che si tratti della tanto attesa resa dei conti?

Paolo Leon

Ma la speculazione si può fermare

Il coro è unanime: l’Europa ci chiede di rientrare rapidamente nei parametri che legano deficit e debito al Pil per evitare il pericolo greco, e cioè la corsa speculativa contro i titoli di Stato dei paesi maggiormente indebitati o in deficit. E già non ci siamo: la speculazione guarda al deficit o al debito? In Italia dovrebbe guardare al debito, in Spagna e Portogallo al deficit, ma non è la stessa cosa, perché è molto più facile ridurre il deficit del debito. Ergo: noi dovremmo essere sotto pressione più degli altri paesi,ma non lo siamo, come mostrano i rendimenti dei nostri BOT. In realtà, sia noi sia l’Europa sembriamo ipnotizzati dalla speculazione, e non ci è offerto altro ricorso se non quello di strozzare la ripresa, far crescere la disoccupazione, ridurre ancora di più il cosiddetto modello sociale europeo (istruzione, sanità, previdenza, sussidio di disoccupazione) e la sua “tecnostruttura” (l’impiego pubblico).

Non nego che occorrano misure per ridurre la spesa pubblica o aumentare le entrate, ma queste misure sarebbero molto meno dure se, contemporaneamente, l’Europa e noi cercassimo di tagliare l’erba sotto i piedi alla speculazione finanziaria. La Germania lo sta facendo alla grande: ha appena limitato la speculazione al ribasso contro i titoli di Stato in euro commerciati nel paese, e sta per approvare una legge che allarga la limitazione ad ogni speculazione al ribasso (gli Usa l’hanno proibita fin dal 2005). Ricordo cos’è la speculazione al ribasso: si vendono titoli nell’attesa di comprarli più tardi ad un prezzo più basso, e si possono vendere titoli anche senza possederli, per ricomprarli a prezzo più basso domani e consegnarli all’originale acquirente (naked shorting); questa seconda speculazione è quella più deleteria.

Quando la Merkel ha annunciato la nuova misura, il resto d’Europa non l’ha seguita. Non esiste una Consob europea, i mercati europei sono meno regolati di quello americano, né la Banca Centrale Europea poteva imporre una propria deliberazione in proposito. Nessuno ha spiegato perché la Germania si è mossa da sola, né chi stia proteggendo in Europa la speculazione al ribasso: il Parlamento sarà chiamato a votare su un decreto legge di austerity fiscale, senza che sia stato spiegato perché si sia di fronte ad una nuova crisi finanziaria.

Il caso della Grecia è chiaramente una scusa, perché per quanto grande quel debito, si tratta pur sempre di un’infima quota del debito europeo e del patrimonio europeo. C’è un grande difetto di trasparenza in Europa, ma non sappiamo nemmeno quali posizioni abbia sostenuto a Bruxelles il nostro paese in merito alla lotta alla speculazione, né se esiste una qualsiasi azione italiana per portare in Europa le stesse riforme che Obama sta mettendo in atto su banche e società finanziarie. Il timore è che non si voglia affatto lottare e il sospetto atroce è che la manovra di restrizione sul bilancio pubblico sia vista come un’opportunità per ridurre il ruolo dello Stato, sconfiggere lo Stato sociale o, alla peggio, passati due anni, tornare a largheggiare nella spesa pubblica in tempo per nuove elezioni.

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