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Antonietta Mazzette
Un’altra idea di Sardegna
1 Settembre 2010
Articoli del 2010
Tre storie della Sardegna danno un’idea del lavoro che non coincide con le storie raccontate nei teatrini della politica ufficiale. La Nuova Sardegna, 31 agosto 2010

Gli operai della Vinyls dagli inizi dell’anno resistono nell’ex carcere dell’Asinara. Da quest’isola – parco che anch’esso resiste ai reiterati tentativi di trasformarlo in macchina banale del turismo – scrivono, rilasciano interviste e vanno ovunque ritengano di poter dar conto delle buone ragioni che li hanno spinti ad auto-segregarsi. Ragioni che riguardano non solo il loro diritto al lavoro, ma il bisogno che ha l’Italia di conservare un settore strategico qual è la chimica.

Il movimento dei pastori sardi protesta per la scarsa considerazione che ha il loro lavoro, basilare non solo per l’identità storica della Sardegna ma per il Paese intero. Un duro lavoro che viene pagato una manciata di centesimi da imprenditori che hanno il monopolio dei prezzi del latte. Per difendere la loro dignità di lavoratori, hanno occupato le cronache agostane, bloccando strade e aeroporti, manifestando ovunque la loro voce potesse giungere a destinazione, ossia nelle sedi di governo (regionale e nazionale). Anche i lidi plastificati dei ricchi sono diventati per questi pastori come per gli operai della Vinyls, un palcoscenico da cui rivendicare i loro diritti offesi.

Un ottantenne di Capo Malfatano resiste alle lusinghe di chi di soldi ne ha proprio tanti e vorrebbe farne tanti altri ancora costruendo ad appena trecento metri dal mare di Teulada. Questo vecchio si rifiuta di vendere la sua terra a chi la vorrebbe trasformare in un albergo con troppe stelle – come ha detto Giorgio Todde – e respinge le ingannevoli sirene del turismo che vuole distruggerne la naturale vocazione agricola.

Tre storie sociali tanto diverse per protagonisti, luoghi e contenuti, eppure così vicine tra loro per le finalità comuni. Vediamone alcune.

Innanzitutto, in tutte c’è l’idea che il valore del lavoro non può essere svilito da logiche predatorie di profitto indiscriminato. Mi rendo conto che questa affermazione appare a dir poco ingenua, nel momento in cui un ministro della Repubblica racconta al meeting di Rimini (senza peraltro suscitare la benché minima reazione dei presenti) che i diritti di sicurezza sono un lusso che non possiamo più permetterci, che equivale a dire che le ragioni finanziarie sono più importanti della stessa vita umana.

In secondo luogo, in queste storie c’è un’idea di territorio che sfugge alle logiche diffuse secondo cui il territorio vale se è trasformabile in metri cubi da costruire; pratica che nel nostro Paese non è considerata un disvalore neppure quando riguarda il mai debellato fenomeno dell’abusivismo edilizio o i numerosi scempi edilizi.

In terzo luogo, gli operai, i pastori e il vecchio di Teulada stanno cercando di dirci che si può costruire uno sviluppo diverso facendo chimica pulita, producendo latte e formaggi, coltivando la terra. Attività lavorative e professionalità che rinviano a modalità di vita più eque ed eco-compatibili e, soprattutto, più durevoli rispetto ad un turismo inteso come volumetria e privatizzazione della bellezza, a partire dal paesaggio che ricordiamo essere “memoria di un popolo” quando non c’è più.

Rispetto a questa idea - di fatto alternativa al pensiero dilagante secondo cui fare denaro senza sacrificio e possibilmente esentasse è la vera arma del successo -, dove si colloca la politica di chi ci governa? In buona misura è distratta da altro, dalle case a Montecarlo alle elezioni anticipate se non passa il processo breve, dagli incontri per i rimpasti al toto nomine degli assessori politici non più tecnici, tranne quelli che di territorio se ne intendono e sanno come sfruttarlo al massimo. Oppure blatera di incontri con l’Eni e di decisioni imminenti con il ministro all’Agricoltura senza uno straccio di progetto, mentre tace sulla scelta scellerata di un sindaco che ritiene che il paesaggio (bene comune) possa essere trasformato in un albergo di lusso per pochi ricchi. I pastori e gli operai possono sempre andarci a fare i camerieri, mentre l’ottantenne – beh - è ora che vada in pensione.

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