Dunque pare che secondo l'onorevole Giorgio Stracquadanio, uno di quelli che dice sempre la verità profonda del berlusconismo, prostituirsi per fare carriera politica non sia un problema: è ammesso, "legittimo" e non censurabile. Ognuno usa quello che ha, spiega il nostro, «intelligenza o bellezza», o magari tutt'e due perché non è detto che chi è bello sia stupido (e neanche il viceversa, basta guardare lui): sono fatti privati, «ognuno deve disporre del proprio corpo come meglio crede e se non c'è violenza non c'è problema». E se invece ci sono soldi, posti e potere? Domanda superflua, Stracquadanio non la capirebbe nemmeno, e del resto in casa sua (e non solo in casa sua) non la capisce nessuno dal velina-gate in poi. Ma l'improvvida uscita dell'onorevole è un'ottima sintesi della concezione della libertà targata Berlusconi e quindi tanto vale insistere. Fra la libertà di disporre del proprio corpo e la libertà di venderlo per averne in cambio posti, favori e carriere c'è di mezzo il mare, un mare che si chiama mercato, denaro, scambio di potere fra diseguali, ricatto. Non solo non è la stessa cosa, ma le due cose neanche si toccano: si escludono. Da una parte c'è il desiderio, dall'altra la forma di merce, e fra desiderio e forma di merce sarebbe il caso di ricominciare a fare qualche distinzione: a sinistra potrebbero provarci, invece di cadere ogni volta, quest'ultima compresa, nella trappola del derby fra disinvolti e moralisti.
Fra le molte coliche e contorsioni in cui si dibatte il berlusconismo morente, ce n'è una quasi incomprensibile, l'ostinata compulsione a battere e ribattere sul tasto della sessualità, che è esattamente quello che ne ha firmato la condanna a morte. Il premier e le veline candidate, il premier e il sesso a pagamento, il premier e il «ciarpame politico» delle «vergini che si offrono al drago»: cominciò tutto da lì, vale ricordarlo, non da Gianfranco Fini. Eppure lo stesso premier batte e ribatte compulsivamente ancora su quel tasto, come fosse un tasto imprescindibile del suo armamentario populista. Ormai tanto visibilmente provato nell'immagine quanto disorientato sul da farsi, domenica, alla festa di Atreju, quell'armamentario l'ha tirato fuori tutto, come in una prova generale della campagna elettorale prossima ventura. Un'autocitazione dietro l'altra dai suoi discorsi del '94 e seguenti, come se l'Italia si fosse fermata al suo avvento: il libro nero del comunismo, gli ammiccamenti al nazismo in salsa di barzelletta, il monumento a se stesso come esempio e prospettiva di vita per i giovani, il Pdl come «popolo» e non partito, i giornali da evitare come la peste...e dentro questo album di foto stantìe la più stantìa di tutte, la sua foto di conquistatore ricco, intraprendente e irresistibile. «Io c'ho la fila di quelle che mi vogliono sposare: sono simpatico, ho un po' di grana, la leggenda dice che ci so fare, e in più pensano che sono vecchio, muoio subito e loro ereditano». Pensano ma si sbagliano, perché lui è sempre lo stesso e le sua gag sono sempre le stesse, compresa quella irrinunciabile di chiedere il numero di telefono a una ragazza che prova a fargli una domanda politica.
Ridicolo. Compulsivo. Consunto. Decrepito. Eppure, lo sappiamo, Berlusconi ha sempre una carta di riserva, che sta sempre fuori dal mazzo della politica. E non va affatto sottovalutata la sua frase di domenica portata in prima pagina da «Libero» di ieri, «Largo ai giovani e alle donne», che potrebbe preludere, e non è la prima volta che si dice, a un'investitura della figlia Marina alla successione. Indirettamente avvalorata, secondo il quotidiano, dalle ripetute interviste rilasciate al «Corriere della Sera» negli ultimi mesi dalla stessa Marina. «La Principessa e la Trota», scrive «Libero» alludendo a una destra del futuro in mano ai figli di Berlusconi e Bossi: largo alle dinastie, come in ogni regno che si rispetti. Altro che posta in gioco costituzionale: mentre parlavano del legittimo impedimento stavano ripristinando la monarchia e non ce ne siamo accorti.
Ma qui non è solo questione di monarchia. Attenzione, perché è proprio da quel suo continuo e compulsivo battere sul tasto delle donne e della sessualità che Berlusconi potrebbe estrarre stavolta la carta fuori mazzo: una donna candidata premier al posto suo. La figlia o chi per lei. Altro che ciarpame politico, altro che le veline a Strasburgo, altro che i festini e le farfalline di Palazzo Grazioli e di Villa Certosa: passerebbe alla storia come il primo uomo politico italiano che ha ceduto il passo a una donna. Un vero Cavaliere. E un vero schiaffo alla sinistra, l'ennesimo.