C´era da aspettarselo. Quando si è saputo che un nordafricano è stato arrestato perché sospettato di aver ucciso Yara, è esploso il razzismo. Senza neppure aspettare conferme. E tanto meno la conferma di un giudizio. Quasi un gesto liberatorio: questa volta non è "uno di noi", ma "uno di loro". Dopo Avetrana, ove una quasi coetanea di Yara è stata uccisa da zio e cugina che era andata a trovare fiduciosa, dopo Pinerolo, dove una donna è stata uccisa dall´ex amante del marito con la complicità del figlio, finalmente le cose sono tornate a posto: i cattivi sono gli altri (anche in Calabria dove sono morti sette ciclisti), doppiamente sconosciuti, perché non familiari e soprattutto perché stranieri. Una auto-rassicurazione che cerca capri espiatori su cui rovesciare l´ansia che produce l´insicurezza derivante dal non sentirsi più in controllo del territorio e delle condizioni della vita quotidiana. Non perché ci sono gli immigrati, ma perché sono cambiate molte regole del gioco, ma molti comportamenti, e molte teste, sono rimaste le stesse. Specie per quanto riguarda i comportamenti nei confronti delle donne, incluse le ragazzine.
Essere genitori oggi, specie di una figlia, è spesso fonte di ansie e paure. Non è sufficiente sapere che la maggior parte delle violenze avvengono in famiglia, da parte di familiari (italiani e no). Oggi come un tempo ogni genitore sa che una figlia femmina è più vulnerabile. Non perché sia più debole di un figlio maschio (per altro anch´esso non del tutto protetto dalle attenzioni improprie e violenze, anche da parte di insospettati, come ha segnalato il grande scandalo della pedofilia da parte di ecclesiastici). Ma perché più di un maschio è considerata preda cacciabile da parte di uomini che si credono in diritto di prendere ciò e chi desiderano. È questo timore che ha legittimato in passato la maggiore sorveglianza cui sono state sottoposte le figlie rispetto ai figli, riducendo i loro spazi di libertà, il raggio delle loro esperienze.
Chiudendo in un recinto la potenziale preda, perché non si può controllare il cacciatore. Anche se non sempre neppure il recinto è un luogo sicuro, come ha dimostrato appunto l´omicidio di Avetrana ed è documentato quasi quotidianamente dalle cronache che parlano di fidanzati, mariti, fratelli che macellano le donne che per qualche ragione considerano loro proprietà.
Ogni genitore conosce il batticuore con cui aspetta il rientro dei figli, maschi o femmine che siano, ma con un pizzico di ansia in più se sono femmine. Si è stretti tra il desiderio di dare fiducia e autonomia e la consapevolezza di non potere prevedere ed evitare tutti i rischi. L´ansia rischia di diventare divorante di fronte a casi come quello di Yara: sparita in pieno giorno, mentre torna a casa, in un paese dove si conoscono tutti e dove apparentemente il controllo sociale sul territorio dovrebbe essere maggiore che in una grande città. Invece di cercare un capro espiatorio nell´immigrazione, come se il problema dell´insicurezza e della violenza riguardasse solo o prevalentemente gli immigrati, bisognerebbe riflettere sul persistere di queste condizioni di insicurezza per le donne, che costituiscono una gabbia invisibile per tutte, ma che in molti, troppi, casi tolgono la dignità e la vita.
Soprattutto, ora, mentre le speranze di ritrovare Yara viva si stanno spegnendo, sarebbe il caso di rispettare lei, la sua vita e il sorriso bambino, e la dignità dolorosa dei genitori, che non si sono offerti al circo mediatico pronto a documentarne ogni sospiro e ogni lacrima. Che si eviti la caccia agli immigrati, ma anche di fare di una tragedia l´ennesima occasione per uno spettacolo per guardoni. Niente processi e ricostruzioni in pubblico, con o senza modellini ed esperti sempre in servizio. Niente appostamenti per spiare il dolore dei familiari. Nessuna solleticazione del narcisismo più o meno ingenuo di amici e conoscenti. Sobrietà, silenzio e molta autoriflessione.