Dibattito su una questione molto diversa da quelle che fanno scandalo ai giorni nostri. Sraffa e Togliatti colpevoli di aver fatto sparire un quaderno dei gramsciani scritti dal carcere? A proposito del libro “L'enigma del quaderno”, di Franco Lo Pipero. Filologia storica o episodio del revisionismo?
Ilmanifesto, 18 febbraio.2013
Da qualche tempo ha corso negli studi gramsciani quella che potremmo definire una «storia congetturale»: una ricostruzione dei fatti basata su deduzioni non verificabili. A ciò si è accompagnata e sovrapposta una lettura dei testi fondata sulla convinzione che in essi non si dica ciò che letteralmente si legge, ma vi siano messaggi nascosti. Il che a volte è vero: si tratta però di vedere quanto esteso possa essere il ricorso a questo tipo di lettura «esopica», come si dice ripetendo una espressione della cognata di Gramsci, Tania. Si tratta di due metodologie - storia congetturale e lettura esopica - che hanno prodotto anche esiti interessanti, ma a cui bisogna accostarsi con cautela, proprio perché i loro risultati non poggiano su basi certe.
Alla ricerca di un «Gramsci sconosciuto» è tra gli altri Franco Lo Piparo, che torna in libreria con un lavoro di taglio investigativo: L'enigma del quaderno. La caccia ai manoscritti dopo la morte di Gramsci (Donzelli, pp. 161, euro 18). Se si parla di taglio investigativo non è per sminuire il libro, ma perché fin dal titolo è l'opera stessa che si propone come un «giallo» (viene anche citato E. A. Poe) ed è l'autore a creare un'atmosfera da spy story , dipingendo alcuni dei «personaggi» (così li definisce, come in una fiction ) della vicenda gramsciana come protagonisti di un romanzo di Le Carré. Un problema di etichetta Il caso più eclatante è quello di Sraffa, ritratto da Lo Piparo come «agente segreto, di alto rango, del Comintern. È una affermazione impegnativa. Essa viene forse fatta perché negli Archivi di Mosca è stato trovato un documento che rende palese questo lato nascosto del grande economista? Niente di tutto ciò. È solo una «congettura», che scaturisce soprattutto dal fatto che essa bene si colloca nel mosaico interpretativo di Lo Piparo. È possibile, e forse probabile, che Sraffa fosse un «militante coperto» del Pcd'I, già incaricato di gestire i finanziamenti provenienti da Mosca. Ed erano tempi, indubbiamente, in cui un comunista di qualsiasi nazionalità si sentiva anche un militante del Comintern, di quel partito comunista mondiale non ancora del tutto russocentrico. Ma da qui a farne una «agente segreto» ce ne corre. Può anche essere, ma ci vogliono i documenti per affermarlo.
Nell'impossibilità di accennare a tutti i passi di questo tipo, di cui il libro è pieno, dirò i motivi principali per cui l'ipotesi di Lo Piparo mi sembra da respingere.
Secondo , perché, nella sua opera di continua e faticosa riscrittura , Gramsci non avrebbe lasciato altri segnali di una svolta politica tanto clamorosa? Il quaderno scomparso sarebbe un corpo estraneo nel contesto delle duemila pagine (a stampa) degli appunti carcerari. Una cautela postuma
Quarto, se Togliatti sa già dal luglio 1937 che deve far sparire un quaderno, perché non lo distrugge a Parigi (dove, secondo Lo Piparo, Sraffa glielo porta dopo averlo sottratto a Tania)? Perché, tornata in Urss, Tania - che scrive anche direttamente a Stalin sulla gestione dei quaderni - non denuncia la scomparsa del quaderno scomodo? Perché Togliatti non distrugge il quaderno pericoloso almeno nel 1941, dopo la morte di Tania, quando legge e rilegge i manoscritti di Gramsci? Perché lo riporta in Italia (è l'ipotesi di Lo Piparo), decide di farlo sparire o lo fa sparire, ma continua a parlare pubblicamente di trentaquattro quaderni? La spiegazione di Lo Piparo per cui ancora nel 1948 Togliatti e Platone sbagliano il numero dei quaderni indicandone trentadue nella introduzione al primo volume dell'edizione tematica presso Einaudi («si preferisce puntare sulla disattenzione dei lettori e degli studiosi e continuare a usare il numero canonico trentadue ») è francamente incredibile. Non è più ovvio pensare che sia stato un errore causato dalla ripresa letterale della relazione fatta da Platone nel'46 per Rinascita?
Senza nuovi ritrovamenti le congetture di Lo Piparo non paiono sufficienti a ipotizzare un quaderno che non abbiamo e la spinta a «immaginarlo» sembra motivata soprattutto dal rinnovato tentativo di dimostrare che Gramsci era (diventato) liberale. Ma l'autore sardo è tanto grande da trascendere la sua stessa parte politica e nutrire anche culture diverse: lo ha scritto Togliatti già nel 1964, non vi è bisogno di inventarsi un Gramsci che non esiste per sentirsene almeno in parte eredi.