PIl manifesto, 25 febbrai 2015
Scisso tra le imposizioni europee e la dura concretezza dei fatti, il ministro dell’Economia Piercarlo Padoan proprio qualche giorno fa ha ammesso, in un’intervista all’Espresso, che ciò che finora non ha funzionato nel governo Renzi sono state le privatizzazioni. Difficile, nonostante l’ideologia dominante cerchi di far pensare il contrario, non rendersi conto che, nella situazione economica attuale, disfarsi di pezzi dello Stato voglia dire svenderli al miglior offerente. Lo stesso discorso vale per la Grecia di Tsipras, dove le pressioni più forti sono per proseguire il processo di alleggerimento del patrimonio pubblico, anche se per fortuna più nessuno propone di mettere all’asta il Partenone.
Ben vengano, allora, messe a punto giuridiche, innanzitutto, di una materia che attiene al diritto pubblico. Alberto Lucarelli, professore all’Università Federico II di Napoli, è uno studioso di quei beni, pubblici per appartenenza ma da non lasciare alla gestione statale, che vengono definiti “comuni”. Accorto a non sganciare mai la teoria dalla tecnica giuridica, di fronte all’esondare di definizioni che rischiano di annacquare definitivamente il potenziale antiprivatizzatore, e dunque antiliberista, dei beni comuni, lo studioso partenopeo ha sentito l’esigenza di perimetrare il campo d’azione, partendo dalla commissione Rodotà dalla quale tutto era cominciato, qualche anno fa. Lo ha fatto con un lungo articolo pubblicato sulla rivista on line Costituzionalismo (si può leggere integralmente su www.costi tuzionalismo.it), nel quale, affrontando la questione del demanio pubblico, ne fa un terreno d’azione della dottrina dei beni comuni.
Ferma restando la proprietà pubblica, dunque, cos’è che distingue un bene comune dagli altri? Lucarelli respinge la dottrina della “terza via”, né statale né privata, della proprietà di suddetti beni, ma è convinto che, piuttosto che la questione proprietaria, debba porsi quella della funzione: i beni comuni non sono gestiti dallo Stato ma neppure possono scadere nella logica della concessione, che sostanzialmente privatizza il bene. Ciò che è fondamentale è la loro funzione sociale, a beneficio di una comunità che non è quella delle «piccole patrie» ma è interpretata, con il filosofo Roberto Esposito, come «composta da soggetti attraversati da una differenza e legati dalla medesima urgenza di fruire del bene». Un legame funzionale, dunque, non escludente e neppure legato a un territorio, non proprietario ma inteso come «un dono nei confronti degli altri». È quest’ultimo aspetto, per Lucarelli, che apre le porte a una nuova funzione del diritto pubblico ed è il modo per superare una concezione dello Stato che, oggi che ci troviamo in pieno «ciclo del privato», per dirla con lo storico Paul Ginsborg, segna il passo.
Un lavoro prezioso, dunque, che definisce gli strumenti, teorici e concreti, per un’alternativa reale e li mette a disposizione delle Syriza e dei Podemos di casa nostra che intendano servirsene/l2:r