Il paradosso della campagna elettorale si può sintetizzare così: la Casa delle Libertà più che il governo in carica appare come lo sfidante che mette a nudo le contraddizioni del programma dell'avversario. E riesce ad evitare che si parli del suo. Le 208 pagine del documento dell'Unione sono state vivisezionate e utilizzate dalla controffensiva polista. L'economista Giacomo Vaciago su Europa ha raccontato che qualcuno ha fotocopiato la pagina 130 e l'ha fatta circolare tra i tassisti, tradizionalmente contrari alla liberalizzazione delle licenze. Dei propositi per i prossimi cinque anni di un nuovo governo di centrodestra, invece, poco si discute. Persino i candidati dell'Unione giocano di rimessa. Puntano sulle emozioni restando imprigionati in uno schema che considera il 9 aprile un referendum anti-Berlusconi. L'abc dell'alternanza prevederebbe un altro schema: l'opposizione che aspira a conquistare la maggioranza incalza il governo uscente e ne sminuzza il programma.
Anche perché il programma elettorale 2006-2011 della Casa delle Libertà di spunti ne offre. Il dettaglio più interessante lo si trova al capitolo «Finanza pubblica»: si parte sostenendo che il patrimonio pubblico (Eni, Enel, immobili, spiagge, caserme, etc.) è superiore al nostro pur mostruoso debito, 1.800 contro 1.500 miliardi di euro. L'ipotesi di lavoro che ne consegue è di «collocare e valorizzare sul mercato» almeno il 40% di questo patrimonio stimando di portare a casa per questa via la bella cifra di 700 miliardi di euro. Come? Offrendo «ai risparmiatori e investitori maggiori e migliori opportunità di impiego privato dei loro capitali». La proposta non è nuova di zecca e, come ha scritto sul Corriere del 25 febbraio Massimo Mucchetti, assomiglia molto all'idea formulata qualche mese fa da Giuseppe Guarino, giurista ed ex ministro delle Finanze. Che suggeriva di mettere tutti gli asset pubblici in una holding — maliziosamente la chiameremo Nuova Iri — che potrebbe indebitarsi emettendo obbligazioni presso i piccoli risparmiatori e incassare fino ai 700 miliardi di cui sopra.
Di altre entrate che non derivino da «azioni contro l'evasione fiscale» nel programma non vi è traccia, quindi la Nuova Iri assolve un ruolo-chiave. Serve ad assicurare indirettamente la copertura per un costoso programma elettorale. Sommando gli esborsi per il bonus bebè, gli incentivi alla natalità, la costruzione di asili, il sostegno alle infrastrutture e la riduzione di 3 punti del cuneo fiscale, si arriva a una stima di maggiori uscite che varia dai 35 ai 40 miliardi di euro. Per avere un termine di paragone il taglio di 5 punti del cuneo fiscale, sponsorizzato dall'Unione e la cui copertura è tuttora un rompicapo, costa «appena» 10 miliardi di euro. Ma chi paga gli investimenti previsti dal programma della Casa delle Libertà? I risparmiatori che dovrebbero acquistare i bond lanciati dalla Nuova Iri. Basta dunque emettere della carta per quadrare il cerchio dei conti pubblici e addirittura finanziare nuovi interventi di spesa? Il dubbio è lecito. Per convincere i risparmiatori a sottoscrivere una quantità straordinaria di titoli di una sola società dovrebbero remunerarli adeguatamente, probabilmente anche più degli stessi Bot. Si configura così una partita di giro a somma negativa: per abbassare il debito pubblico si fanno pagare più oneri finanziari allo Stato, anche se nella veste di proprietario della Nuova Iri. Il successo di quest'operazione segnerebbe il trionfo della finanza creativa, ma a Bruxelles e Londra resterebbe il legittimo sospetto di un utilizzo a copertura di spesa e non solo per cancellare parte del debito.