«Secondo le regole europee i rifugiati hanno diritto di scappare dalla guerra eppure una direttiva impedisce alle compagnie aeree di prenderli a bordo senza rischiare pesanti sanzioni».
Il Fatto Quotidiano, 28 settembre 2015 (m.p.r.)
Il mese scorso verrà ricordato come un momento di svolta nel dramma dei migranti in Europa. La Germania ha di fatto sospeso per i rifugiati siriani Dublino II, il trattato Ue che obbliga i richiedenti asilo a farsi registrare nel primo Paese in cui arrivano. Per di più si è impegnata a non mettere un tetto al numero dei rifugiati disposta ad accettare sfidando gli altri Paesi europei a fare un passo avanti. Da anni l’opinione pubblica vede rifugiati che muoiono in barconi sovraffollati e pericolanti che tentano di attraversare il Mediterraneo. Immagini del genere arriveranno ancora. I trafficanti di persone continueranno ancora a farsi pagare migliaia di dollari per imbarcare migranti disperati sulle loro carrette del mare.
Questo accade perché la principale ragione per cui i migranti scelgono le pericolose imbarcazioni, la Direttiva 51/2001/CE, non ha in vista emendamenti e non darà nemmeno adito ad un dibattito. La direttiva Ue è stata approvata nel 2001, stabilisce che i vettori - di compagnie aeree o navali - hanno la responsabilità di garantire che gli stranieri diretti verso l’Unione europea siano i possesso di documenti di viaggio validi. Qualora i viaggiatori arrivino nella Ue e vengano respinti, le compagnie aeree sono tenute a pagare il biglietto di ritorno in patria. Inoltre le compagnie aeree possono vedersi comminare un multa che va dai 3000 ai 5000 euro. Per evitare le sanzioni, le compagnie aeree sono diventate diligenti nell’impedire a chi non è provvisto di passaporto o visto d’ingresso di imbarcarsi sui loro aerei.
Pensata per combattere l’immigrazione clandestina, la direttiva sembra fare una eccezione per i richiedenti asilo: “l’applicazione di questa direttiva”, dispone l’articolo 3, “non modifica le obbligazioni derivanti dalla Convenzione di Ginevra per ciò che concerne lo status di rifugiati”. Ma il personale delle compagnie aeree non è qualificato per valutare lo status di chi sostiene di essere un rifugiato e le compagnie preferiscono sbagliare per eccesso di cautela. In pratica, la disposizione si riduce a poco più di una affermazione di principio senza conseguenze pratiche. Di conseguenza, grazie alla direttiva, l’Unione europea è riuscita a liberarsi della responsabilità di esaminare le richieste della maggior parte dei richiedenti asilo scaricandola sulle compagnie private.
La conseguenza è che il primo filtro invece di essere gestito da funzionari competenti è generalmente affidato agli impiegati dei check-in che dalle loro compagnie di appartenenza ricevono l’ordine di rifiutare l’imbarco a chiunque non dimostri in maniera inoppugnabile che ha il diritto di recarsi in un Paese europeo. Questo atteggiamento funge da deterrente – e spinge le persone nelle braccia delle carrette del mare. Le famiglie non hanno altre ragioni per pagare migliaia di euro per imbarcarsi su una trappola mortale galleggiante invece delle poche centinaia di euro che costerebbe un breve e comodo volo.
Se l'Europa vuole davvero impedire altri morti in Mediterraneo deve abrogare la direttiva o, quanto meno, sostituirla con disposizioni più umane e giuste. Tanto per cominciare la Ue i suoi Stati membri debbono assumersi la responsabilità di esaminare le richieste dei rifugiati invece di affidare questo compito alle compagnie aeree. La Ue deve anche eliminare le sanzioni a carico delle compagnie aeree che fanno entrare rifugiati in Europa. Infine, i costi del rimpatrio - laddove necessari - vanno suddivisi tra Stati membri e Ue. L’abolizione delle restrizioni sui viaggi aerei potrebbe potenzialmente far aumentare il numero di richiedenti asilo.
L’Europa dovrebbe essere in grado di fare fronte a tale incremento. La Germania sta già abolendo i tetti al numero di rifugiati che è disposta ad accogliere e promette di ridurre in maniera significativa i tempi di esame delle richieste di asilo. Altri Stati membri potrebbero seguire l’esempio introducendo procedure più rapide per l’esame delle richieste di asilo e, se necessario, per il rimpatrio. La Ue può sostenere i Paesi membri istituendo una infrastruttura europea con il compito fungere da primo filtro dei rifugiati – affidandola a funzionari pubblici esperti e non agli addetti al check-in degli aeroporti – e un fondo comune europeo per far fronte ai costi di rimpatrio.
Questo sistema moltiplicherebbe la documentazione, i controlli e la possibilità di seguire i casi: è più facile registrare e seguire gli spostamenti di chi arriva in un aeroporto che di coloro che sbarcano su spiagge deserte e fanno del loro meglio per non farsi individuare fino al raggiungimento della destinazione desiderata. In alternativa la Ue potrebbe creare strutture di accoglienza e controllo in Paesi sicuri fuori della Ue garantendo un viaggio senza rischi ai potenziali migranti – sebbene sia difficile individuare un Paese disposto a svolgere questo compito a beneficio dell’Unione Europea.
Se l'Europa desidera che non muoiano più migliaia di persone in Mediterraneo, non basta aspettare sulla spiaggia con le coperte o inviare imbarcazioni di salvataggio. Se l’Europa vuole che la gente smetta di annegare, deve consentire a questa gente di volare.
(Traduzione di Carlo Antonio Biscotto)
Dimi Reider è un giornalista e blogger israeliano, co-fondatore di
+972 Magazine. È anche un associate fellow del European Council on Fo re i g n Relations (ECFR), sul cui sito è pubblicata la version e integrale di questo articolo, uscito negli Usa sulla rivista Foreign Affairs