Nota redatta per l’associazione
Primalepersone in vista del prossimo Forum dell’economia sociale e solidale in programma a Bruxelles il 28.gennaio 2016
Poiché considero la questione dei profughi centrale per il futuro nostro e dell’Europa, cerco di chiarire e riassumere qui per punti le posizioni che sono andato definendo approfondendo il problema nel corso dell’ultimo anno e mezzo.
1. Migrazioni ed esodo, problema centrale
2. Insensate le politiche di respingimento
Dove respingerli? Rigettarli tra le braccia dell’Isis, o di suoi emuli, ormai presenti in quasi tutti i paesi da cui si originano quei flussi, accrescendo del pari le loro forze sia là che, per solidarietà, tra gli immigrati nei paesi europei? Non farebbe che moltiplicare sia i fronti di guerra fuori e dentro i confini dell’Europa, sia nuove e più consistenti migrazioni.
Stringere accordi con i governi dei paesi di origine perché li riaccolgano o li trattengono in patria? Non sono disposti a farlo nemmeno a caro prezzo (e il prezzo è comunque destinato a salire, e di molto, mentre i paesi europei meno esposti non sono assolutamente disposti a condividerlo). Lo ha dimostrato il vertice di La Valletta e lo dimostra la fragilità del cinico patto stretto dalla Commissione europea con Erdogan sotto la supervisione di Angela Merkel.
Costruire e gestire più o meno direttamente (anche se sotto il velo di un coinvolgimento dei governi locali) dei campi di concentramento – e, in buna misura, di sterminio – in cui rinchiudere tutte le persone in fuga o sbandate che cercano di effettuare o stanno intraprendendo un viaggio verso l’Europa? Quei campi raggiungerebbero presto dimensioni smisurate, e sempre più difficili da gestire.
3. Catastrofiche conseguenze delle politiche attuali
Ma l’esito più probabile di una politica di respingimento è quello di scaricare sui paesi di primo accesso che non possono erigere barriere fisiche ai confini (sostanzialmente Grecia e Italia) tutto il peso dei nuovi arrivi, chiudendo nei loro confronti le frontiere interne del resto d’Europa. Inutile dire che questo porterebbe rapidamente alla saturazione delle capacità di accoglienza (per quanto sommaria e mal gestita) di questi due paesi; ma anche delle loro capacità di respingimento: i rimpatri diventerebbero ben presto “affar loro”, mentre gli altri paesi membri “se ne lavano le mani”, come sta già succedendo con le ridotte quote di riallocazioni definite dalla Commissione europea.
E’ ciò che di fatto sta già succedendo con il cosiddetto “decreto di espulsione differita”: si abbandonano per strada senza soldi, senza documenti, senza riferimenti, senza la conoscenza della lingua, persone a cui è stato ingiunto di lasciare il paese a loro spese entro una settimana E’ come consegnarli alla clandestinità, alla criminalità, allo stupro, alla disperazione e alle mafie.
Ma se è ancora possibile fare questo giochetto con alcune centinaia di profughi, è evidente che non lo sarà più con le decine di migliaia che arriveranno. L’Italia non ha una politica su questa questione, perché nonostante le (molto recenti) uscite di Renzi sul tema, non ha mai posto il problema in sede Europea nella sua dimensione e drammaticità effettive. Ma una prospettiva del genere corrisponde alla dissoluzione dell’Unione.
4. Una prospettiva diversa
Per colmare questo vuoto demografico l’Europa dovrebbe “importare”, di qui al 2050, tre milioni di immigrati all’anno: il triplo dei profughi che sono arrivati nel 2015. Potrebbe anzi assorbirne anche il doppio senza subire alcun tracollo; ma cambiando ovviamente in modo radicale sia le sue politiche economiche che quelle sociali. Peraltro, fino al 2008, arrivava in Europa un milione di nuovi migranti economici all’anno, cioè quanti sono stati i profughi quest’anno.
Sono le politiche di austerità che, oltre a creare in Europa milioni di nuovi disoccupati, hanno trasformato in un problema l’assorbimento di nuove forze di lavoro proveniente da altri paesi. D’altronde, tra il 1945 e la metà degli anni ’60 quattro paesi dell’Europa centrale, UK compreso, avevano assorbito circa 20 milioni di profughi e di immigrati: 10 milioni dall’Est e 10 milioni dai paesi mediterranei dell’Europa, dall’Africa e dal Maghreb. La minaccia di un sovraffollamento è dunque esclusivamente il frutto di politiche economiche restrittive e, sul lungo periodo, suicide.
5. Servono politiche radicalmente diverse
6. Il mercato non può, serve l'intervento del Terzo settore
In Italia abbiamo ottimi esempi di questo lavoro, ma anche clamorose prove della sua degenerazione in organizzazioni come quelle di Buzzi (mero strumento o braccio armato della corruzione e della criminalità che alligna nelle alte sfere della politica e dell’amministrazione pubblica). Il 28 gennaio di questo mese si terrò a Bruxelles il primo Forum europeo dell’economia sociale e solidale (SSE). E’ stato proposto che, tra le altre cose, venga messo all’ordine del giorno il ruolo che la SSE può e deve assumere nei confronti del problema profughi, lanciando un grande piano europeo per creare lavoro nei settori decisivi ai fini della conversione ecologica (agricoltura, edilizia, energie rinnovabili, mobilità, riassetto del territorio e assistenza alle persone).
Un piano da affidare alle imprese – esistenti o da costituire – della SSE, in modo che l’inserimento lavorativo venga accompagnato da programmi personalizzati di inclusione sociale. Questa proposta è stata ascoltata con interesse ma non è stata sviluppata in modo adeguato. Nonostante tutto, nella maggioranza dei paesi europei, per lo meno nell’ambito della cosiddetta sinistra che fa capo al GUE, promotore del Forum, la centralità del problema dei profughi non viene ancora avvertita con l’urgenza che meriterebbe. Aggiungo che un piano di questo genere potrebbe avere un risvolto di grande interesse anche nell’ambito delle politiche di cosiddetto rientro, di cui parlerò in seguito.
7. Le condizioni per invertire la tendenza all'esoto
Ma il problema centrale è quello di creare dei circuiti in base ai quali agli arrivi possano corrispondere, anche se in misura minore, ma non irrilevante, dei ritorni volontari e delle motivazioni forti per farlo. Occorre considerare l’Europa e i paesi africani, ma anche quelli mediorientali, da cui provengono oggi i profughi e i migranti come un’unica grande area attraversata da interscambi non solo economici (necessariamente squilibrati per molto tempo ancora), ma anche culturali, sociali e civici.
Quei confini dell’Europa che l’Unione vorrebbe allargare riducendo i paesi di origine dei flussi migratori in avamposti della sua trasformazione in fortezza, occorre invece riuscire a farli percepire e vivere, innanzitutto nella coscienza dei cittadini europei, dei profughi e dei migranti di prima, seconda e terza generazione, come il perimetro di una nuova comunità euromediterranea ed euroafricana. Ma come? Dire che occorre “bonificare l’Africa” per fermare quei flussi è davvero troppo poco.
8. "Aiutiamoli a casa loro": ma come?
Il secondo modo è quello invocato da Salvini (ma, ahimè, sostenuto anche dalla Merkel) per cui stanziamenti anche molto più consistenti, posto che si trovino, vanno destinati prioritariamente a trattenere (e internare) profughi e migranti in strutture appositamente costituite nei paesi di origine o di transito dei flussi. Che ciò significhi nient’altro che dichiarare guerra ai migranti si è già detto.
Il terzo modo è tutto da costruire perché mira a rendere le comunità espatriate in Europa, cioè i profughi e i migranti (di prima, ma anche seconda e terza generazione) protagonisti di una politica di ricostruzione di un tessuto sociale ed economico in grado di offrire delle prospettive di maggior benessere anche agli abitanti dei paesi di origine. Profughi e migranti sono in gran parte la componente più istruita, più giovane, più intraprendente (quelli che hanno avuto la forza e l’iniziativa di affrontare un viaggio così pericoloso) della popolazione da cui provengono: un apporto che l’economia, la cultura e le società dell’Europa potrebbero valorizzare molto, mentre oggi lo svalutano, lo disprezzano e lo degradano.
Ma soprattutto sono una risorsa strategica per la costruzione di una grande comunità euroafricana ed euromediterranea. Sono persone che ancora intrattengono forti legami con le loro comunità di origine, o che possono facilmente riattivarli; che in Europa possono costruirsi o affinare delle competenze, delle conoscenze, delle professionalità, delle esperienze da mettere a disposizione dei loro paesi di origine con grande vantaggio per tutti, qualora se ne creino le condizioni. Non solo per reinserirsi nei loro paesi di origine, andando a occupare posizioni già esistenti, ma per creare opportunità e modalità di produzione di reddito e di ricchezza completamente nuove.
9. Condizione di base: riconoscimento politico delle comunitá espatriate
Prima ancora di pensare ai finanziamenti, o anche a progetti di cooperazione allo sviluppo - in gran parte pensati e progettati dall’esterno - occorre lavorare con le comunità di profughi e migranti nella prospettiva di aiutarli a rendersi attori e protagonisti di un nuovo processo di integrazione delle economie e delle società dei paesi di origine e di quelli di arrivo. Non credo che esistano alternative a una prospettiva del genere che non siano quelle prospettate nella prima parte di queste note; anche se realizzarla, soprattutto nel clima di ostilità crescente nei confronti degli immigrati chestiamo vivendo, sarà sempre più difficile.
I sottotitoli sono di eddyburg