Rabbia, razzismo, paura: tre mostri legati insieme che contribuiscono a rendere disumano il nostro mondo. Che fare per lavorare nella direzione giusta. La Repubblica, ed Milano, 20 luglio 2016, con postilla (m.c.g.)
Temo sia accaduto molte altre volte. In questo caso, però, grazie a un video caricato sui social, l’episodio è diventato pubblico: un dipendente Atm insulta un utente dei mezzi pubblici, reo di essere entrato in metropolitana senza biglietto. Personalmente, la scena mi ha colpito per due aspetti. Il primo è la rabbia con cui il dipendente si accanisce ripetutamente sulla persona che non avrebbe pagato. Lo fa in maniera aggressiva e volgare, con modi da condannare nettamente, qualsiasi cosa sia successa prima dell’inizio del filmato. Il secondo è una frase pronunciata dal lavoratore Atm. «Devi ringraziare che ti tengono qui! E che ti danno da mangiare!», dice alla persona che è a pochi centimetri da lui: un uomo, pare sui trent’anni, in scarpe da tennis, con i pantaloncini, una maglietta fantasia. E la pelle nera.
Chi lo sta insultando, presumibilmente, non sa altro. Sa solo che è nero e che parla in italiano, anche se non perfettamente. Potrebbe essere un profugo sbarcato da poche settimane, un titolare di una delle 550mila imprese straniere in Italia o, ancora, un extracomunitario diventato nostro concittadino. Non importa. Per chi gli urla contro, il fatto che sia nero basta e avanza: lo autorizza, inconsciamente, a marcare la distanza tra lui e gli altri “che pagano”, a segnare la differenza tra noi e loro, a considerare il suo non aver comprato il biglietto un’infrazione ancora più pesante, aggravata dal colore della sua pelle, dalla sua diversità. E qui torniamo alla rabbia. La rabbia che mi ha colpito in quel video è un sentimento diffuso e strisciante che a volte esplode e degenera in conflittualità. Non è razzismo e neppure paura. Ma è legata ad entrambi a doppio filo.
La paura ne è la madre perché diversità e insicurezza generano inquietudine e frustrazione che, quando vengono strumentalizzate, creano rabbia. Il razzismo invece può diventarne il figlio malato, perché è facile indirizzare il malcontento verso i diversi, che rischiano di trasformarsi in capri espiatori.
Per evitare di soffiare sul fuoco è importante agire su più fronti. Il linguaggio: il nostro dibattito pubblico è sempre più segnato da discorsi spudorati e violenti. Serve una forte deterrenza. E serve ridare concretezza a parole come umanità e fratellanza. Ci sono poi le responsabilità delle agenzie educative, che devono trasmettere i valori di cittadinanza e bene comune. È da qui che discende il rispetto delle regole, compresa la consapevolezza che pagare un biglietto serve a far funzionare un sistema utile alla collettività. Solidarietà e legalità vanno insieme, anche nei piccoli gesti. Se non si riesce a far capire questo, a vincere è l’individualismo più sfrenato.
La sfida, quindi, è tornare con forza a lanciare questi messaggi, ai “vecchi” cittadini che rischiano di dimenticarli e ai “nuovi” cittadini che arrivano nel nostro Paese. Per questi ultimi, in particolare, è importante pensare a dei percorsi di vera cittadinanza. Accoglierli non significa solo dar loro vitto e alloggio, ma anche far conoscere loro valori, diritti e doveri partendo dalla Costituzione. Nel concreto, significa distribuire le persone capillarmente sul territorio, proporre loro progetti di autonomia incentrati sul lavoro e metterle nelle condizioni di diventare cittadini responsabili. Che quando prendono i mezzi pubblici pagano consapevolmente il biglietto perché sanno che è giusto e utile. A tutti.
postilla
Sulle stesse pagine su cui compare l'articolo di don Colmegna si conferma una decisione già paventata non solo dalle varie comunità religiose, ma anche dai laici progressisti: lo sfratto esecutivo per la moschea di via Padova; un luogo eminente di dialogo interreligioso grazie alla moderatezza e lungimiranza di Asfa Mahmoud, palestinese, architetto e presidente del Consiglio Direttivo della Casa Musulmana di Milano. Nel capoluogo lombardo sarà inoltre necessario rifare il bando per i nuovi luoghi di culto, fra i quali ci sarebbero dovute essere due moschee, grazie alla legge regionale, votata da Maroni e accoliti, che obbliga a predisporre un documento dedicato alle "attrezzature religiose" ad integrazione del Pgt.Oggi a Milano 100.000 islamici sono costretti a pregare in luoghi precari e inappropriati. A proposito di accoglienza e lungimiranza…(m.c.g.).