Nel momento in cui l’immigrazione viene vista quasi come una crisi esistenziale per l’Unione europea, è facile dimenticare che Bruxelles ha sviluppato una politica comune al riguardo solo negli ultimi due anni. Prima erano i singoli paesi a gestire la questione, e i loro errori condizionano ancora oggi i tentativi di dare una risposta al problema. Tuttavia il fatto che le politiche migratorie dell’Unione siano relativamente nuove significa anche che abbiamo la possibilità di lasciarci alle spalle le idee sbagliate che hanno guidato le azioni dei singoli stati ed evitare le loro tragiche conseguenze.
Gli sforzi per chiudere le rotte dell’immigrazione illegale possono funzionare solo se sono accompagnati dal tentativo di espandere i canali per entrare legalmente in Europa. In pratica questo significa che gli stati dovrebbero concedere più visti per motivi di lavoro nel corso delle trattative con i paesi d’origine o di transito dei migranti sui rimpatri di coloro che non hanno il diritto di restare nell’Unione.
Il flusso migratorio verso l’Europa è alimentato da alcuni fattori – dalla guerra in Siria ai vari conflitti dell’area che si estende fino all’Afghanistan – di cui l’Unione non è direttamente responsabile. Ma finora le politiche europee sui migranti hanno causato grandi sofferenze alle persone in fuga dalla povertà, dalla guerra e dalle discriminazioni, senza fare nulla per rendere i cittadini europei più sicuri. Il principale equivoco alla base di questo fallimento è la convinzione che i confini europei possano e debbano essere chiusi ai migranti economici.
Questa convinzione ha praticamente impedito ai migranti africani e asiatici di entrare legalmente nella maggior parte dei paesi europei. È importante tenerlo presente quando vediamo le caotiche scene di persone trasportate illegalmente via mare o via terra. Fino agli anni novanta, quando furono introdotte forti limitazioni ai visti, i migranti arrivavano in Europa in aereo. Eppure l’evidente relazione tra le leggi che limitano la migrazione regolare e l’aumento del traffico di esseri umani è spesso ignorata dai politici e dall’opinione pubblica.
La destra populista che chiede la chiusura delle frontiere trascura il fatto che i confini sono già chiusi per chi viene da paesi esterni all’Unione, e questo succede da anni. La traversata su vasta scala del Mediterraneo dalla Libia, e dal Nordafrica più in generale, verso l’Italia è invece un fenomeno relativamente recente e una conseguenza del progressivo inasprimento delle leggi italiane, culminato nel divieto di restare nel paese per gli stranieri che non hanno un contratto di lavoro, divieto introdotto dalla legge Bossi-Fini del 2002.
Misure del genere, oltre a causare enormi soferenze a persone la cui unica colpa è quella di voler lavorare, non raggiungono il loro obiettivo, cioè ridurre i lussi migratori via mare. Gli sbarchi in Europa di migranti provenienti dalla Libia sono aumentati di oltre il 25 per cento nei primi cinque mesi del 2017 rispetto allo stesso periodo del 2016.
Concessioni necessarie
È necessario cambiare strada: l’Europa riuscirà a chiudere i canali dell’immigrazione illegale solo se aprirà quelli legali. Le due cose vanno di pari passo. La Commissione europea si sta rendendo conto che è impossibile stringere accordi di riammissione (per rimpatriare i migranti economici e i richiedenti asilo la cui domanda viene respinta) senza offrire in cambio un aumento dei visti di lavoro. Si potrebbe mettere a punto un nuovo sistema che veda una coalizione di paesi europei offrire una serie d’incentivi ai paesi d’origine e di transito dei migranti, tra cui la concessione di un certo numero di permessi di soggiorno in cambio di un accordo sui rimpatri.
Probabilmente questa coalizione non godrebbe del sostegno unanime di tutti i governi dell’Unione. Alcuni paesi, soprattutto quelli del gruppo di Visegrád (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) si opporrebbero, così come quelli dove i partiti ostili all’immigrazione hanno un ruolo di primo piano nelle alleanze di governo.
Ma questa “coalizione di volenterosi” potrebbe comunque comprendere Italia, Germania, Svezia e Austria, e avere il sostegno di stati importanti come Francia e Spagna. E non si può escludere la partecipazione di altri paesi interessati al rafforzamento delle frontiere, come Slovenia, Croazia, Bulgaria e Grecia. Questo “patto” non sostituirebbe gli accordi di partenariato che sono già in vigore con alcuni paesi d’origine e hanno ricevuto l’appoggio anche degli stati più riluttanti all’idea di “concedere” poteri a Bruxelles in materia d’immigrazione. Lo scambio tra i canali d’immigrazione legali e gli accordi di riammissione potrebbe avvenire in maniera meno formale, attraverso un memorandum d’intesa tra un certo numero di paesi europei e i singoli stati d’origine. I primi indicherebbero il numero di visti che sarebbero disposti a concedere (prerogativa in gran parte affidata ai governi nazionali) mentre i secondi accetterebbero modalità più rapide per i rimpatri.
Un circolo vizioso
Non sarebbe la soluzione a tutti i problemi. I lussi migratori dall’Africa non s’interromperanno di colpo. Rafforzare le istituzioni dei paesi africani, salvaguardare lo stato di diritto e favorire lo sviluppo economico devono essere i pilastri di una più ampia strategia dell’Unione. Esigere il rispetto dei diritti umani in Libia è fondamentale per eliminare uno dei fattori principali che spingono i migranti a partire. Tuttavia, permettergli di farlo legalmente, mettendo in piedi nel frattempo un meccanismo efficace per i rimpatri, è il genere di cambiamento politico di cui l’Europa ha bisogno. I più cinici sosterranno che queste misure sarebbero impopolari.
Ma un’attenta analisi degli ultimi risultati elettorali in vari paesi europei lascia pensare che molti abbiano confuso una chiassosa e influente minoranza di elettori ostili all’immigrazione con la maggioranza della popolazione, che non ha idee xenofobe ma vorrebbe semplicemente che il problema fosse affrontato in modo più efficace.
La strategia dei “confini chiusi” ha favorito i partiti populisti ostili ai migranti: i confini chiusi causano un aumento dell’immigrazione illegale, che a sua volta alimenta il senso d’insicurezza della popolazione e ostacola l’integrazione dei nuovi arrivati. È arrivato il momento di interrompere questo circolo vizioso, che sta danneggiando la democrazia europea e sta causando terribili sofferenze ai migranti. Ora spetta a una coalizione di volenterosi proporre soluzioni più realistiche al problema dell’immigrazione.