il manifesto, 7 settembre 2017
L’articolo 10 della Costituzione prescrive che gli stranieri che non possono esercitare le «libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana» hanno diritto ad essere accolti nel nostro Paese, in quanto «persone» titolari, ai sensi del nostro articolo 2 della Costituzione, di diritti inviolabili a prescindere dalla loro nazionalità o Paese di provenienza. Non è una vaga, utopica aspirazione, ma il cuore del progetto della nostra Costituzione: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo (non solo dei cittadini italiani, nda), sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale».
È per questo che in Italia esiste un «diritto costituzionalmente garantito» all’asilo: non si può decidere se applicare o meno questa norma, dobbiamo chiederne noi l’attuazione, insieme a quella di tutti i principi che qualificano la nostra democrazia, e che ad oggi restano in gran parte inattuati. Eppure, in queste drammatiche settimane estive, lo Stato italiano – attraverso il suo governo, e segnatamente il suo ministro dell’Interno – non solo non ha attuato questo principio fondamentale ma ha decisivamente scoraggiato le organizzazioni non governative che soccorrevano in mare i migranti, e ha preso accordi con le autorità di Paesi in cui non sono garantite le «libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana», affinché i loro cittadini e i migranti che ne attraversino i territori non possano fuggirne: cioè non possano aspirare, come noi tutti, a una vita libera e dignitosa. Siamo di fronte a un grave tradimento della nostra Carta fondamentale e dei Trattati e documenti internazionali che riconoscono e tutelano i diritti delle persone e dei richiedenti asilo. Crediamo che di fronte alle masse che lasciano la propria casa in cerca di diritti, di vita e di futuro la risposta dell’Occidente non possa essere la chiusura e il tradimento dei principi su cui si fondano le nostre democrazie.
Il fenomeno migratorio non si fermerà di fronte al nostro egoismo. Anzi, rischierà di degenerare in uno scontro di civiltà, già abilmente fomentato da chi coltiva la guerra come forma di lucro e dominio sui popoli, a prezzo del sangue dei più deboli e innocenti. Non possiamo, non dobbiamo, essere pedine di questo gioco al massacro. Abbiamo un orizzonte diverso, che guarda al mondo come casa di tutti e alla globalizzazione dei diritti, come fine dell’azione politica internazionale di chi crede davvero nella democrazia e nell’universalità dei diritti fondamentali. Tutti i Paesi più ricchi, a partire dall’Italia, devono garantire non solo l’accoglienza promessa delle Carte, ma impegnarsi in una strategia condivisa a livello sovranazionale che crei e garantisca ovunque le condizioni di eguaglianza e giustizia sociale la cui assenza è la vera e prima causa della grande migrazione in atto. E anche sulla natura e le dimensioni di questo fenomeno la Sinistra ha, innanzi tutto, il dovere di dire la verità: le migrazioni sono processi fisiologici e costanti in un mondo globalizzato, diventano massicce quando le minacce alla vita delle persone diventano intollerabili, quando una parte del mondo vive in condizioni disumane, o non vive affatto, e una piccola parte di privilegiati vive con le risorse di tutti.
Ecco: questo egoismo rischia di trasformarsi in un detonatore. Dobbiamo disinnescarlo. Anche perché sui migranti si sta costruendo l’ennesima menzogna mediatica, che devia l’attenzione dalle emergenze reali della politica, dalle cause reali dei nostri problemi. Insomma: prima si è provato a dire che era colpa della Costituzione. Sappiamo come è finita, il 4 dicembre scorso. Ma ora i mali del Paese, le nostre vite precarie, il taglio orizzontale di diritti e futuro: tutto è colpa dei migranti! Fumo negli occhi di una politica che non sa cambiare e non vuole rimettere al centro le persone, ma spera di «neutralizzarle» mettendo poveri contro poveri, disperati contro disperati. Non ci siamo cascati il 4 dicembre, non ci cascheremo adesso. Anche perché la piccola parte di migranti che sbarca sulle nostre coste rappresenta solo l’1% del flusso migratorio globale. Fra questi, solo una piccola parte aspira a fermarsi in Italia: non sono un’invasione, né un’ondata oceanica. Non rappresentano affatto una minaccia, semmai una grande opportunità: umana, culturale e anche economica.
Il nostro Paese, in drammatica crisi demografica, ha bisogno di nuovi italiani. Le nostre antiche città aspettano nuovi cittadini. E la perfino timida legge sullo ius soli in discussione in Parlamento è davvero il minimo che si possa fare per costruire questa nuova Italia. Ecco: stiamo lavorando a un progetto condiviso che permetta a questo Paese di risollevarsi e ripartire, in cui ci sia lavoro vero per tutti, non elemosine e precarietà per pochi. Chi non si ponga in questa prospettiva, chi non ambisca a creare le condizioni per un «Nuovo Inizio» democratico, sociale ed economico, non ha capito qual è il compito fondamentale della politica che vogliono gli italiani. Ancora una volta: è di questi nodi cruciali che dobbiamo e vogliamo discutere, non della sterile alchimia di sigle e leader.
Continuiamo a credere nella formula che abbiamo proposto al Brancaccio il 18 giugno scorso: ci vuole una sola lista a sinistra del Partito Democratico – un partito la cui involuzione a destra è apparsa, proprio sui temi dell’immigrazione, palese. Crediamo che anche la situazione della Sicilia confermi questa lettura: mentre il Pd guarda a destra, la sinistra cerca l’unità e la forza per proporre alternative radicali allo stato delle cose.
Si apre un autunno cruciale: proseguono le assemblee regionali, si moltiplicano quelle in città di ogni dimensioni, si preparano quelle tematiche fissate per il fine settimana a cavallo tra settembre e ottobre. Il loro formato è quello che abbiamo sperimentato da giugno in poi: aperto a tutti (associazioni, partiti, singoli cittadini) e senza dirigenze, egemonie o portavoce autonominati. Decideremo poi insieme, e democraticamente, in una grande assemblea nazionale che sarà indetta alla fine del lavoro sul programma, il tipo di organizzazione che vorremo darci. Tutto questo è importante: ma è solo un mezzo, uno strumento per metterci in grado di dare il nostro contributo all’attuazione della Costituzione. Il primo traguardo da cui ripartire per costruire un nuovo orizzonte di democrazia partecipata e di cittadini liberi.