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Come molti sanno, nell’ultimo decennio Riace, questo piccolo paese della costa jonica calabrese che conta solo milleduecento abitanti, è diventato famoso nel mondo e ha rivalutato l’immagine della Calabria: non più e solo terra di ‘ndrangheta, ma il luogo principe dell’accoglienza dello straniero. Finalmente una immagine positiva di questa regione di cui potersi vantare andando fuori per le strade del mondo. Quando nell’autunno del 2009 si celebravano a Berlino i vent’anni dalla caduta del muro, il grande regista Winnie Wenders di fronte a dieci nobel per la pace disse: «La vera civiltà, la nostra speranza come Europa io l’ho incontrata a Riace, un piccolo paese della Calabria». E quest’anno quando abbiamo letto la notizia che la famosa rivista Fortune aveva inserito il sindaco di Riace, Domenico Lucano, tra le cinquanta personalità più autorevoli della terra, in tanti abbiamo provato un sentimento di gioia ed orgoglio legittimo.
È in questo scenario che, come un fulmine in una limpida giornata autunnale, va letto il titolo a caratteri cubitali apparso sulla stampa locale e nazionale: il sindaco dell’accoglienza modello dei migranti accusato di truffa aggravata, concussione e abuso d’ufficio. Naturalmente la stampa di destra che odia gli immigrati ha scritto anche di peggio, ed era scontato. Quello che invece non è più accettabile è il modo con cui viene usato un avviso di garanzia, che significa solo che una persona è indagata, non condannata, non processata, e quindi ha diritto che la sua privacy venga rispettata.
Negli ultimi decenni l’avviso di garanzia si è trasformato in una pre-condanna, soprattutto se si tratta di persona famosa, che però quando viene prosciolta gli si concede qualche rigo illeggibile in una pagina interna al giornale. Perché la notizia, vendibile, è la presunta colpevolezza non l’innocenza della persona indagata. Ora, non si tratta di scommettere sull’onestà di Domenico Lucano, su cui molti ci metteremmo la faccia, ma si tratta di mettere a nudo un modo di fare informazione: non è possibile che un avviso di garanzia diventi pubblico, finché il PM non finisce l’istruttoria e la manda al Gip (Giudice per le indagini preliminari) questa informazione non deve diventare di dominio pubblico, e chi lo fa deve essere sanzionato. La macchina del fango, lo sappiamo, funziona così: lo butti sulla persona che vuoi colpire e qualcosa resta, anche dopo la “doccia” (il proscioglimento).
Ho conosciuto Domenico Lucano nel novembre del 1998 mentre a Badolato ero impegnato con il Cric (una ong calabrese molto attiva in quegli anni) nel primo progetto di accoglienza dei migranti che si è realizzato in Italia, che puntava all’integrazione economica, sociale e culturale. Domenico ed i suoi amici dell’associazione “Riace città futura” volevano replicare nel loro paese quanto fatto a Badolato e chiedevano un sostegno per partire. Il loro entusiasmo, la loro onestà e grande idealità ha fatto sì che mentre Badolato si spegneva Riace raccoglieva la solidarietà di tanti gruppi/associazioni del mondo pacifista, del commercio equo e solidale, della finanza etica e di una straordinaria comunità anarchica, l’ultima rimasta in Europa: Longo maï. Una comunità, nata in Provenza e diffusasi in altre zone della Francia e in diversi paesi europei, che si mobilitò per sostenere l’esperienza di Riace attraverso una forma di turismo solidale con cui svizzeri, francesi e tedeschi vennero a fare le vacanze in questo piccolo Comune calabrese allora sconosciuto al mondo. Un sostegno, anche economico, venne da Cornelius Koch, una straordinaria figura di prete cattolico che in Svizzera chiamavano l’Abate dei profughi che venne più volte a Riace insieme ad Hannes, uno dei fondatori della comunità di Longo maï (Vedi: Un chrétien subversif. Cornelius Koch, l’abbé des réfugiés, Editions d’en bas, Losanna, 2013).
Tutto questo per dire che la solidarietà, che la popolazione di Riace ha dimostrato di saper dare agli immigrati, innesca meccanismi di ulteriore solidarietà, legami sociali e reti conviviali, che si allargano a macchia d’olio ed in modo spesso imprevedibile. Ne è una ulteriore prova quello che è successo venerdì scorso: nell’anfiteatro costruito dove c’era una discarica (grazie anche all’impegno dell’ex assessore Tripodi, come ha voluto ricordare il sindaco), più di mille persone provenienti da tutta la Calabria e da varie parti d’Italia, dal Piemonte fino alla Sicilia, erano lì fino a notte fonda per essere vicini a Domenico Lucano, senza che alcun partito, sindacato o altro soggetto avesse organizzato questa manifestazione. Perché anche questo insegna questa storia: quello che le persone trovano a Riace è una grande dose di umanità, a partire da Domenico Lucano che riesce a parlare al cuore della gente senza cadere nel populismo e nella demagogia. Quello che molti di noi cerchiamo e di cui abbiamo bisogno è di Restare Umani, come scrisse prima di venire barbaramente ucciso Vittorio Arrigoni, un martire della pace, che cercava di unire le fazioni palestinesi in lotta.
Infine, la terza cosa che merita una riflessione seria sull’esperienza di Riace riguarda l’uso di quello che Lucano chiama “bonus” e che vengono usati per pagare i negozianti di Riace da parte dei migranti ospiti. Di che si tratta? Di una sorta di moneta locale che ha esattamente la stessa funzione dei “buoni pasto” che dipendenti pubblici e privati (grande aziende) usano per fare la spesa. Il vantaggio per l’economia di Riace è evidente: i migranti possono spendere questi “bonus” solo all’interno del paese e nei negozi convenzionati con l’amministrazione comunale. Questo fa sì che aumenti il legame tra i rifugiati e la popolazione locale e, inoltre, offre a loro la possibilità di fare acquisti di beni alimentari (e non solo) in base ai loro bisogni, cultura e tradizioni. Ed ancora: grazie a questo sistema l’amministrazione Lucano è riuscita a far risparmiare al progetto Sprar decine di migliaia di euro che sarebbero serviti per pagare gli interessi alle banche per avere gli anticipi di cassa con cui acquistare i beni per i migranti ospitati a Riace, mediamente duecento persone. Un sistema virtuoso che è stato accettato dalla Prefettura per sette anni e che improvvisamente quest’anno è stato messo in discussione. Un sistema che è stato ripreso e replicato anche in altri Comuni e che forse anche per questo diventava pericoloso perché dava un’autonomia agli enti locali che da diversi anni viene sempre più ridotta, grazie anche ai tagli nei trasferimenti dallo Stato ai Comuni che dal 2011 ha fatto registrare un taglio di ben 11 miliardi di euro.
Questa straordinaria storia di Riace non può finire nel macero per ragioni burocratiche o di bassa cucina. Bisogna che tutte le autorità e i rappresentanti delle Istituzioni (a partire dalla Giunta regionale) comprendano che in questo momento stare a guardare significa solo essere complici dello smantellamento di un modello di accoglienza apprezzato da tutte le persone che non hanno perso la loro umanità, che ancora credono che è possibile costruire un mondo migliore, senza muri e fili spinati, un mondo in cui la diversità – di culture, etnie, religioni – sia un valore e non un terrore.