Allego una piccola/breve riflessione sulla questione irakena, in giorni in cui la retorica mistificatrice e la mancanza di lucidità politica sembra aver contagiato anche la sinistra più consapevole. Falsa coscienza, etica a senso unico e subalternità culturale al neo imperialismo neocon planetario sono i funghi maligni che accecano anche chi dovrebbe, per obbligo della storia, farsi carico davvero di indicare la via per una pace mondiale (sì! l'utopia della pace perpetua kantiana sta scritta nei vessilli della sinistra), e preparare la pace vuol dire prima di tutto lottare senza requie con chi vuole le guerra, con chi la difende, con chi ne nega le radici storiche, con chi non riconosce che il selvaggio dominio e sfruttamento dell'occidente nei confronti del resto del mondo negli ultimi cento anni è il vero motore delle tragedie di questi ultimi tempi.
Ecco l’allegato:
A volte la realpolitik abbandona la ragion di stato e si fa incarnazione dell'etica della necessità e del bene comune. Cosa altro dire se non che è necessario ritirare il contingente di occupazione italiano dall'Irak immediatamente, come fece la Spagna, non certo per "cedere" ai ricatti dei rapitori, ma perché l'Italia sta occupando militarmente uno stato sovrano senza alcun mandato dell'ONU e quindi è contro il diritto internazionale? Gli irakeni - e chi dice il contrario dice un'enormità giuridica oltre che politica - hanno il diritto di lottare militarmente contro chi occupa illegalmente il loro paese. Questa è la realtà, innegabile. Etichettare unicamente come terroristi i movimenti di resistenza irakeni, anche quelli più estremisti, è storicamente ingiusto e politicamente idiota, e non tiene conto che ogni, dico ogni, movimento di resistenza ha utilizzato ANCHE metodi legati al terrore. O si riparte politicamente da tali assunti innegabili, e non si utilizzano etica e morale a senso unico, oppure anche a sinistra si ricade nel gioco perverso dello slogan "sono tutti terroristi". Con il rischio, comico e tragico insieme, di vedersi presto scavalcare politicamente nel realismo politico da pensatori conservatori americani, che già in alcuni casi stanno iniziando a prendere anche loro in considerazione l'ipotesi del ritiro dall’Irak come "minor male". Si rassegnino Bush, Blair e Berlusconi: nella lunga durata la loro guerra in Irak è perduta, a meno di non spedire in Mesopotamia 400.000/500.000 uomini e occupare davvero tutto il paese manu militari, un’ipotesi del tutto irrealistica, anche nel caso che a novembre l’attuale presidente degli Stati Uniti venisse rieletto. Il risultato dell’avventura irakena sarà la creazione, tra uno o due anni, di una repubblica islamica – probabilmente a maggioranza scita e vicina politicamente all’Iran. Il resto sono chiacchiere, retorica ad usum stultorum o bieca ideologia.
Mi sembra che, nell’attuale ondata di violenza, in ciò che viene sbrigativamente definito “terrorismo”, facendo d’ogni erba un fascio, ci sono molte cose, molte più di quanto non ce ne fossero in altre situazioni simili all’Iraq di oggi. Credo che ci sia, oltre all’impiego di metodi violenti per difendere o ripristinare la propria indipendenza, anche una presenza di inquietanti vene di fanatismo (in fondo analoghe a quello che qualche secolo fa hanno sporcato un’altra religione monoteista). E credo anche che ci sia una componente, più marcata che in passato, dei servizi segreti: c’è chi li vede, non senza argomenti, nell’assassinio di Enzo Baldoni, c’e chi ne ha parlato a proposito della strage in Ossezia e del rapimento delle due Serene. Sono d’accordo con te che sarebbe sbagliato fare d’ogni erba un fascio, innalzare barriere e proclamare guerre di civiltà in situazioni nelle quali, in materia di civiltà, la storia degli ultimi secoli del mondo “atlantico” non è esente da errori e colpe mai riparati, i quali anzi proseguono ancora.