Roma, 30 marzo 2005 - Da quando Raffaele Radicioni ha illustrato la proposta Bor.Se.To., opportunamente battezzata da Sergio Brenna "Borseggio", ho pensato che l’urbanistica creativa romana avesse perduto per sempre il primato. L’urbanistica “tira e molla” era stata inventata nella capitale in un felice connubio tra il Ministero dei Lavori Pubblici e la dirigenza tecnica e politica del piano regolatore di Roma. Sembrava che nulla avrebbe mai potuto intaccare la supremazia culturale di questo inedito gruppo di “innovatori”. E in realtà, così è stato per tanti anni. Sono infatti innumerevoli le invenzioni: dalla “compensazione volumetrica” all’uso sistematico dell’accordo di programma per mutare a piacimento lo strumento urbanistico.
Improvvisamente dal civile Piemonte è arrivato un vero capolavoro di uso disinvolto dei molti contenitori urbanistico - programmatori inventati nel decennio ’90.
Ma finalmente la buona stella torna a brillare sulla capitale d’Italia: l’esempio che ti invio parla di un comune della prima corona metropolitana, Grotteferrata; la dimensione della speculazione è incomparabile con Bor.se.to.: appena 60.000 metri cubi, ma il suo interesse sta nell’uso degli strumenti della programmazione negoziata per piegare la volontà dei comuni.
Lo strumento che viene utilizzato, il Patto territoriale, è stato istituito dalla legge 662/96 “Misure di razionalizzazione della finanza pubblica”, la madre della programmazione negoziata, uno dei principali frutti dell’indimenticabile stagione riformista dei governi di centrosinistra. Il caro Raffaele è finalmente servito.