La superba lezione di british style impartitaci dal direttore del glorioso British Museum (Prepariamoci per quando potremo offrire un aiuto) merita forse qualche riflessione a latere. Bontà sua, in incipit MacGregor espleta i doveri di pietas nei confronti delle vittime, anche se con una selezione del tutto speciale: il cordoglio è riservato in esclusiva alle vite umane spese nella ricostruzione del patrimonio culturale iracheno, le uniche degne di essere vissute, evidentemente. Dopo di che, in assoluta disinvoltura, con un linguaggio da dépliant pubblicitario di museo anni ’50, ci vengono decantate le doti di queste volumetto che – in absentia – dovrebbe colmare con ‘superbo materiale fotografico’ il vuoto provocato dalla disdicevole chiusura del museo di Baghdad. Stupisce, nell’insieme, la povertà del modello culturale cui si ispira il direttore del British: il volume avrebbe l’obiettivo principale di consentire al lettore di ‘ammirare nel dettaglio i pezzi di maggior magnificenza’…una raccolta di capolavori, insomma, degna della più attardata museologia occidentale. Naturalmente il volume è esclusivamente in lingua inglese e Mac Neil non è neppure sfiorato dal sospetto che le risorse utilizzate a questo scopo avrebbero forse trovato migliore e più consono uso se devolute – in toto - per operazioni di restauro del museo stesso che pure ci viene descritto come ‘privo di illuminazione e aria condizionata’ e dove, attualmente, ‘il lavoro di conservazione è pressoché impossibile’.
Ma i poveri conservatori del museo iracheno, ritenuti, come il resto della popolazione autoctona assolutamente incapaci a fronteggiare la situazione (‘non potendo il governo iracheno riuscire laddove fallisce la coalizione’) possono sperare in un futuro roseo: le truppe del British Museum, coalizzate con altre schiere di studiosi dell’acculturato mondo occidentale sono già pronte a partire. Solo la deprecabile situazione di insicurezza attualmente persistente in loco le ha trattenute sinora. L’inquietante parallelismo, fra la composizione della coalizione armata e il team di studiosi che ha presieduto l’elaborazione del volume (‘italiani, americani, inglesi’) è un calco di assordante evidenza che non merita commenti. Davvero l’offerta di Mac Gregor può essere ascritta ai peggiori istinti neocolonialisti (per richiamare un articolo recente di eddyburg, non ricordo di chi), davvero lo spirito di Lord Elgin è più vitale che mai. Non è un caso, allora, che simili profferte ispirate ai calcoli del più lungimirante marketing (Mac Gregor è del resto noto, nel settore, più che per l’eccellenza della scarsa produzione culturale, per abilità di gestione amministrativa) provengono da uno dei musei ‘di rapina’ per eccellenza che anche in tempi recentissimi ha negato qualsiasi apertura alle documentatissime richieste greche di restituzione dei marmi Elgin. Nessun posto migliore per la processione delle Panatenee del vetusto salone del British perennemente intristito dalle luci novembrine dei foschi cieli britannici, perché in fondo – così si legge nella sostanza entrando in quella sala ancora oggi – gli inglesi hanno reso un servizio all’umanità sottraendo i capolavori fidiaci all’incuria e alla barbarie orientali. E ad avvalorare questa tesi si citano non a caso gli alleati italiani che non protestano e non pretendono la restituzione di metà del loro patrimonio archeologico e pittorico sparso per i musei occidentali: peccato che nel nostro caso avremmo ben pochi appigli giuridici: i gioielli di famiglia se li sono regolarmente venduti, nei secoli passati, le innumeri stirpi dell’aristocrazia italiana in sfacelo, dai Gonzaga ai Borghese, ai Campana e via elencando.
Ai greci può essere permesso, al più, di possedere una riproduzione virtuale dei marmi, più vera del vero…così come in fondo, fra non molto, ai curatori iracheni potrebbe essere proposto di scambiare il patrimonio reale finora fortunosamente sottratto alle ingiurie della guerra con il pregevole volume decantato nell’articolo: per motivi di sicurezza, of course. Non è la prima volta che ci riesce, a noi occidentali, lo scambio oro – perline: perché non riprovarci? Nel peggiore dei casi siamo sempre pronti ad esportare ipso facto e con grande generosità, il nostro modello culturale, neppure sfiorati dal dubbio che possa risultare del tutto fuori contesto e per di più, a giudicare dagli indizi presenti nel testo di MacGregor, ispirato ad una museologia che nulla ha recepito, nemmeno lontamente, delle più aggiornate teorie cognitiviste e si mostra legata a meccanismi percettivi ormai superatissimi.
Davvero, colleghi iracheni, l’unica risposta possibile può essere quella di Laocoonte di fronte al velenoso dono del cavallo di Troia: timeo Danaos et dona ferentes.