Ho provato una grande tristezza alla notizia della morte di Lucio Magri. Considero il dolore un fatto privato e non sarei intervenuta se non fossimo stati importunati dai consueti giudici del bene e del male che hanno emesso le loro sentenze dalle scene del servizio pubblico Rai e da altri media su come Magri ha deciso di morire.
Ho avuto la fortuna di incontrare molte volte Lucio Magri, a Roma e a Sassari, prima ai tempi della costruzione del Pdup e poi con il rientro nel Pci, avendo egli intravisto nel partito di Enrico Berlinguer la possibilità di recuperare una funzione a sinistra. Allora erano tanti i giovani che come me ne subivano il fascino, non solo fisico (era sicuramente un bell’uomo) ma soprattutto intellettuale: il suo pensiero era tanto rigoroso quanto raffinato. Ho assistito a molte accese discussioni tra Lucio Magri, Marcello Lelli (colui che dopo la laurea sarebbe diventato il mio maestro) e Giovanni Meloni, di cui, lo confesso, capivo assai poco. Memorizzavo invece i riferimenti e l’indomani andavo a cercare i libri nella Biblioteca Centrale dell’Università. Se scoprivo che la lettura era interessante, allora andavo nella libreria Dessì, dove il dottor Pulina mi aveva aperto un credito illimitato: a fronte di ben 5 mila lire, potevo prendere tutti i libri che volevo.
Le loro discussioni non erano mai ideologiche, seppure avessero in sé una specifica visione del mondo, quella che un tempo si definiva Weltanschauung; anzi, il rigore e il metodo dell’analisi erano il binario principale, qualunque fosse l’oggetto del contendere. Ho un debito verso queste discussioni che per me sono state fonte di sollecitazione. Oggi si direbbe un percorso di alta formazione.
Di Magri ricordo con nettezza il suo rapporto conflittuale con il fumo e l’umiltà con cui si rapportava ai giovani. Egli era, infatti, un accanito fumatore che non aveva mai sigarette in tasca. Regolarmente le chiedeva a noi che, squattrinati come eravamo, gli opponevamo un po’ di resistenza, dicendogli “ma perché non le compri, non sarai mica un avaro?”. E regolarmente lui ci rispondeva “sto cercando di smettere”. Ricordo anche che lo si andava a prendere in aeroporto, talvolta con automobili improbabili e che con noi mangiava panini caldi appena sfornati imbottiti di pancetta sfrigolante. Non l’ho mai visto con scorte o bodyguard, come si usa ora, nonostante fosse un personaggio pubblico importante, riconosciuto e amato dalla cosiddetta gente comune.
La resa finale di Magri è avvenuta in Svizzera, ma egli si era arreso ben prima, quando ha rinunciato ad essere un uomo pubblico, togliendo così ad altre generazioni di giovani il piacere della politica, quella autenticamente necessaria a cambiare e a rendere migliore il mondo e che non può fare a meno dello studio e della ricerca. E, citando Richard Sennett, il declino dell’uomo pubblico, di questo uomo, non ha reso la società italiana più giusta.