Concordo pienamente con Franco Girardi: ripartiamo dalla legge del 1942; è sicuramente più avanzata della legge n. 2359 del 1865 con cui di fatto ci troviamo ad operare oggi, dopo che i Programmi Integrati di Intervento dell'art. 16 della L. 179/92 e l'estensione fattane dalle varie leggi regionali e dal Ministero dei LL.PP. coi vari PRU, PRUSST e contratti di quartiere, ci hanno riportati ad una situazione di una sommatoria di piani attuativi senza più inquadramento generale.
Come ricordava Keynes, in economia la moneta cattiva scaccia quella buona; in urbanistica, quella cattiva, scaccia quella buona. Le due concezioni non possono convivere, come, invece, propone di fare il testo unificato del progetto di legge quadro Lupi-Mantini. Occorre ripartire dall’articolazione del PRG tra una fase strategica, a tempo indeterminato, senza vincoli espropriativi legati alle proprietà, e, possibilmente, approvato a larga maggioranza qualificata (in quanto carta costituzionale o statuto del territorio, che esprime obiettivi stabilmente condivisi dalla collettività al di là della maggioranza del momento) ed una fase operativa di durata quinquennale, che fissa i vincoli espropriativi di quel quinquennio sulla base del programma della maggioranza amministrativa. Ciò consentirebbe di abolire tutti gli strumenti di "urbanistica occasionale" diffusisi nello scorso decennio, poiché una pianificazione operativa di un quinquennio non può certo essere ritenuta troppo vetusta e macchinosa, come spesso si dice degli attuali PRG, e al tempo stesso di risolvere la contraddizione tra PRG e durata quinquennale dei vincoli espropriativi.
A meno che ciò che surrettiziamente si vuole perseguire è proprio un’urbanistica alla giornata, da concordare caso per caso, volta per volta, accrescendo il potere discrezionale dei gruppi politici dominanti, ma sacrificando l’interesse generale di lungo periodo della città e dei cittadini. E’ una scelta di campo su cui cultura disciplinare e forze politiche devono essere chiamate a discutere e ad esprimersi come fattore discriminante.