Un filo evidente lega questi tre avvenimenti: più precisamente, lega gli effetti dello Tsunami alle grandi questioni del destino del nostro pianeta e dell’incapacità del vigente sistema economico-sociale ad assicurare benessere e sicurezza a tutte le donne e li uomini.
Accettare o meno come inevitabile ed eterno il sistema basato sull’accrescimento sistematico dell’accumulazione capitalistica, sul dominio del mercato su ogni altra regola, sulle procedure e garanzie di libertà inventate ed applicate dalla borghesia? Questo è l’argomento che, alla fine dei conti, segna la differenza tra le sinistre “radicali” e le componenti del “riformismo”.
Il sistema capitalistico-borghese ha indubbiamente portato vantaggi enormi all’umanità: ha sottratto masse sterminate alla povertà, alla malattia, alla morte precoce; ha determinato condizioni e garanzie di libertà e d’uguaglianza in interi continenti, e fomentato in altri tensioni verso i medesimi diritti; ha provocato uno sviluppo tecnologico che ancora stupisce. Ma al tempo stesso ha generato altre povertà, malattie, morti precoci; ha accentuato ingiustizie che urlano ribellione e vendetta; infine, si è rivelato incapace a governare i nuovi squilibri che esso stesso ha provocato allontanandosi (grazie al carattere del suo stesso sviluppo tecnologico) dalla necessaria naturalità della condizione umana.
Non è allora doveroso – più ancora che ragionevole – porre al centro di una riflessione non disarmata la ricerca, e la speranza, della possibilità di inverare un sistema fondato su valori diversi, più ricchi e più lungimiranti, non più appiattiti solo sulla crescita economica e sui diritti individuali? Questo è dunque il tema che occorre affrontare per disegnare un futuro diverso non solo all’Italia, ma all’umanità intera.
Il futuro, però, si prepara anche nel presente: altrimenti, la ricerca verso il domani può diventare una sterile fuga. È allora del tutto ragionevole che la componente “riformista” (che vuole aggiustare il sistema) e quella “radicale” (che vorrebbe cambiarlo) si riuniscano per affrontare i problemi dell’oggi e trovare per essi risposte comuni. Ed è positivo che abbiano trovato (come sembra dalle anticipazioni giornalistiche) un accordo pieno proprio sulle questioni dell’ambiente. La loro potenziale catastroficità è stata squadernata dallo Tsunami, ultimo di una catena di eventi che rivelano come l’arroganza della civiltà contemporanea abbia piedi d’argilla.
Le questioni dell’energia e dell’acqua, delle aree protette e dei rifiuti, della difesa del suolo e dei trasporti, della fiscalità ecologica e dell’agricoltura (riprendo dall’articolo di Giovanni Valentini l’elenco dei temi affrontati dal TAO, il Tavolo Ambiente dell’Opposizione) costituiscono certamente aspetti rilevanti della questione ambientale, ed è significativo che il primo testo base che verrà presentato all’esordio ufficiale del TAO sarà quello sull’energia e i cambiamenti climatici, predisposto dalla commissione di cui è presidente una persona seria e preparata come Paolo degli Espinosa.
C’è un tema però che è strettamente connesso alle questioni che ho finora evocato, e che sembra ignorato dalle agende dei “riformisti” come da quelle dei “radicali”: è la questione del governo del territorio, del sapere che sta alla sua base (l’urbanistica), del principale dei suoi strumenti (la pianificazione). È solo la pianificazione, una pianificazione basata sull’attenta e assidua considerazione dei valori e dei rischi dell’ambiente, che può aiutare a trovare una sintesi tra le diverse esigenze relative all’uso del suolo, a tradurla in regole valide erga omnes, a definire le opere necessarie alla vita degli uomini e allo sviluppo duraturo della società. Ed è solo una pianificazione di cui sia protagonista un’amministrazione pubblica autorevole, efficace, braccio operativo delle istituzioni nei quali si esprime l’attuale democrazia, capace di indicare le direttrici da percorrere e i precetti da rispettare, che può ottenere che l’interesse degli individui e delle aziende non prevalga sull’interesse collettivo, ma ne sia al servizio.
Una pianificazione, e un governo del territorio, molto lontani da quelli – dominati all’asservimento agli interessi privati della proprietà immobiliare – cui spalanca le porte la legge “per il governo del territorio” all’esame della Camera dei deputati. Sarebbe un buon segnale se, dai luoghi dove si discutono le prospettive e i programmi delle diverse e variegate sinistra, venisse un chiaro gesto di rigetto di quella legge e se, nelle agende della riflessione programmatica, il governo del territorio trovasse finalmente il suo ruolo.