comune-info, 5 gennaio 2017 (c.m.c.)
È possibile saltare a piè pari il mercato con tutto il suo portato di competizioni tra imprese, conflitti di interesse tra produttori e cittadini consumatori, sprechi, fallimenti e altri vari danni collaterali? 324 famiglie di Bologna ci stanno provando incominciando dalla verdura. Hanno costituito una cooperativa di produzione e consumo sul modello delle Community Supported Agricolture statunitensi, tedesche, inglesi e l’hanno chiamata Arvaia: pisello in bolognese. In pratica un gruppo di cittadine e cittadini decide che è meglio produrre da soli ciò di cui si ha più bisogno. Programma i consumi stagionali e pianifica quantità e modalità di produzione.
La comunità di Arvaia ha calcolato che per avere – più o meno – sei chilogrammi di verdura alla settimana ad ogni socio è necessario mettere a coltura almeno cinque ettari (dove fanno crescere settanta tipi di diversi ortaggi di piante selezionate naturalmente) e lavorare sodo in molti. Alcune decine di soci lo fanno per passione, volontariamente e gratuitamente nei momenti di maggior bisogno (agri-fitness, lo chiamano!), altri sono impegnati nella logistica, mentre cinque sono veri contadini impegnati a tempo pieno retribuito.
I costi di produzione e l’insieme delle spese vengono anticipati nella annuale assemblea generale di bilancio tramite una sorta di “asta” tra i soci. Ogni socio è libero di fare delle offerte segrete e commisurate alle proprie disponibilità economiche. Rimane stabilito che la quota-parte di verdura distribuita sarà comunque uguale per tutti.
Quindi, si fanno più “giri di cappello” fino a raggiungere l’importo previsto dal bilancio preventivo. Ad esempio, lo scorso anno, la quota media che i soci dovevano coprire era stata calcolata in 730 euro, Iva compresa. Le offerte pervenute hanno variato da 400 a 1.500 euro. Un modo decisamente inclusivo e mutualistico per affrontare le eventuali difficoltà economiche dei soci.
Alberto, agronomo, tra gli ideatori e i fondatori di Arvaia, nata solo tre anni fa, pensa che sia possibile “uscire dalla trappola del mercato in cui siamo rinchiusi come consumatori e ritornare cittadini auto-producendo nei territori ciò che davvero serve”.
Partiti con pochi ettari, hanno conquistato un terreno comunale di quarantasette ettari nell’immediata periferia di Bologna destinato a parco agricolo periurbano vincendo un bando comunale di affitto dell’area per 25mila euro l’anno. Ciò ha permesso alla cooperativa di avviare la coltivazione di seminativi – avena, orzo, grani antichi – con cui produrre farine, olio di girasole, miele, salse di pomodori, caffè di orzo ed altri trasformati. È stato avviato un percorso di progettazione partecipata. I sogni nel cassetto dei soci sono molti: un frutteto, attrezzature per passare le domeniche in campagna, una fattoria didattica, una piccola stalla per rendersi autonomi anche dei prodotti caseari.
Dimenticavo: la verdura viene prelevata dai soci due volte la settimana presso la azienda agricola in località Villa Bernaroli oppure in altri otto punti di distribuzione in città presso associazioni, parrocchie, negozi amici.
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