Una persona soprattutto dobbiamo ringraziare, per ciò che ha fatto molto concretamente: il senatore Sauro Turroni, Verde, eletto nel Collegio di Prato per la lista dell’Ulivo. È stato (a nostra conoscenza) l’unico parlamentare che non abbia ceduto né alla distrazione né alle lusinghe bipartisan, l’unico che abbia dimostrato di possedere una consapevolezza piena della posta in gioco e la capacità di convincere i suoi “compagni di laticlavio” a smorzare gli entusiasmi e rifiutare le accelerazioni. Grazie. Speriamo di rivederlo nel Senato che uscirà dalle elezioni del 9-10 aprile.
Il lavoro da fare sarà molto, e uno spazio grande spetterà al Parlamento. Le idee su cui lavorare per elaborare proposte positive per un rinnovato “governo del territorio” ci sono; molte le abbiamo raccolte in questo sito, rendendo così disponibili contributi provenienti da fonti e voci diverse, ma tutte ispirate ad alcuni principi comuni: alla centralità del territorio come bene pubblico e collettivo e alla conseguente esigenza che il primato delle decisioni in materia di pianificazione urbanistica e territoriale spetti al potere pubblico: a un potere pubblico democratico non solo per le modalità di elezione degli organismi rappresentativi. Voci diverse, ma tutte consapevoli che il maggiore conflitto che avviene sul territorio, e ne decide il destino, è quello tra interessi economici nemici di ogni possibile sviluppo durevole (quali quelli della rendita) ed esigenze di una vita personale, sociale ed economica soddisfacente, in un quadro di vita gradevole e bello, in un’organizzazione territoriale razionale ed efficiente: per le cittadine e i cittadini di oggi, e anche per quelli di domani.
Consideriamoci all’inizio di un lavoro da fare: non per distruggere proposte che sono ormai morte, ma per costruire. Qualche base c’è nei programmi elettorali.
Questi (mi riferisco in particolare a quello presentato da Romano Prodi e dai leader dell’Unione) sembra volto in una direzione giusta. Possono trarsi conseguenze rilevanti e positive dall’affermazione che le politiche saranno “orientate a garantire la qualità ambientale, culturale e paesistica, la biodiversità, il risparmio del suolo, la prevenzione e la riduzione dei rischi”, come dalladichiarazione “che i principi della sostenibilità, della prevenzione e della precauzione debbano improntare tutti i piani e programmi che intervengono sul medesimo territorio, garantendo la massima trasparenza e partecipazione”. L’accento posto al risparmio di suolo suona come una novità nei documenti politici degli ultimi decenni. E così può leggersi una certa contrapposizione tra la manutenzione del territorio, che “è la più importante opera pubblica”, e l’ideologia delle Grandi Opere. (Ma perché due giorni dopo Prodi ha annunciato che la TAC in Val di Susa si farà “senza si e senza ma”?). Insomma, c’è qualche segno di speranza e d’inversione di tendenza, al confronto con l’imperante “lupismo”.
Su un punto mi sembra perciò ragionevole richiamare l’attenzione. A una prima lettura del documento, e in particolare della parte relativa alle politiche territoriali, si ha l’impressione che i diversi provvedimenti necessari al suo governo siano visti con un’ottica settoriale. Anche quando si richiama – opportunamente – la necessità di “realizzare una gestione integrata che tenga conto della biodiversità, della qualità ambientale, culturale e paesistica, del ruolo multifunzionale dell’agricoltura e insieme della qualità sociale e urbana”, si trascura ogni cenno (non vorrei per ignoranza) al fatto che gli strumenti inventati per realizzare una “gestione integrata” delle trasformazioni territoriali e urbane sono quelli della pianificazione: proprio quelli che sono stati smantellati dalle pratiche e dalle teorie del “lupismo” d’ogni colore, non solo nell’ultima stagione berlusconiana. Strumenti che da tempo meritano di essere adeguati, migliorati, perfezionati, resi aderenti alle nuove esigenze e possibilità (come molte regioni e molti enti locali si erano apprestati a fare tra il 1990 e il 2000), ma certo in primo luogo conosciuti e praticati come elementi cardine del governo pubblico del territorio.
Forse c’è un primo passo da fare - al di là delle opportune dichiarazioni di volontà e d’intenti sul terreno dei principi - per avviare una fuoriuscita dalla stagione che si vorrebbe consegnata alla storia,. Partire cioè dalla consapevolezza, e dalla ricognizione, di ciò che nel sistema giuridico italiano si è consolidato, secondo un percorso che è iniziato con Giolitti all’inizio del secolo, si è sviluppato con Bottai e Gorla nel rovinoso e tragico declinare del regime fascista, si è sviluppato (ministri sono stati Sullo, Mancini, Bucalossi, Galasso) nella stagione delle “riforme di struttura” degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta del secolo scorso,.
Innestare insomma il nuovo nel tessuto intrecciato nei decenni in cui la preoccupazione per gli interessi generali e la tutela dei valori comuni erano più vivi e diffusi che negli anni di Berlusconi. E se proprio si vuole che il legislatore non trascuri i prodotti del Parlamento che è stato appena sciolto, invece che dalla Legge Lupi e dalle squallide e approssimative elaborazioni che sono alla sua base, sarebbe meglio, molto meglio, partire da quella diligente ricostruzione delle regole vigenti nell’ordinamento italiano in materia di governo del territorio, contenute nello “schema di decreto legislativo di ricognizione dei principi fondamentali nella materia governo del territorio”, il quale con grande modestia e con grandissima utilità si adopera nell’individuazione “dei principi fondamentali in materia di governo del territorio di cui all’articolo 117, terzo comma della Costituzione, che si desumono dalle leggi vigenti”.
Lo schema di decreto legislativo, sottoposto all’attenzione delle regioni nel gennaio scorso, è stato formato ai sensi della legge 5 giugno 2003, n. 131, articolo 1, comma 4, ed è scaricabile qui.