Ha un bel mostrare i muscoli Terminator Schwarzenegger, anche nella versione turbo dei muscoli politici, che fanno leva sulle energie della collettività: contro la villettopoli sembra non esserci niente da fare.
I suoi ambiziosi piani per combattere il riscaldamento globale attraverso la riduzione delle emissioni sembrano avviarsi baldanzosi, muovere i primi passi, ma poi arrestarsi più o meno bruscamente quando inciampano in quello che Dick Cheney ha azzeccatamente definito “il nostro stile di vita irrinunciabile”.
Uno stile di vita fatto di varie cose irrinunciabili: l’automobile per andare ovunque comunque; l’aria condizionata per potersene fottere, del riscaldamento globale, di cui si accorgono solo cervelloni e comunisti; consumi opulenti senza i quali non c’è identità alcuna; e al centro di tutto la casa familiare, il più grande possibile, col garage enorme per tutte le auto di famiglia, col giardino enorme, magari per metà asfaltato così non sporca, e in fondo al giardino un’altra piccola casa, dove tenere la collezione secondaria di motori a combustione interna, ovvero tutta la micidiale serie dalla turbofalciatrice in giù.
E non è proprio il caso che noialtri tribù italomediterranee si rida della goffaggine degli elettori di Terminator: siamo messi uguale, se non peggio. Ad esempio lo scorso inverno un rapporto (naturalmente ignorato o quasi dai giornali) dell’Agenzia Europea dell’Ambiente spiegava come nell’assenza di politiche serie e diffuse l’urbanizzazione si stia diffondendo come una specie di cancro a scala continentale, da un lato mangiandosi la risorsa terra che – forse val la pena ricordarlo – è quella cosa che ci dà da mangiare, entro la catena evolutiva di cui noi vediamo solo il supermercato, dall’altro produce esattamente quanto sopra: le automobili, le emissioni, le falciatrici ecc. ecc. Fin quando anche il decisionismo locale non si scontrerà, tentando di applicare le tabelline suggerite dagli scienziati stravaganti alla vita reale, e ai suoi stili irrinunciabili.
Tanto irrinunciabili che ho iniziato a scorgerne vistose e consolidate tracce non solo negli stili di vita, ma anche in quelli di morte.
Non è una battuta macabra, ma la constatazione che emerge dall’esperienza personale di visita periodica abbastanza frequente al cimitero urbano di una città di oltre 100.000 abitanti. Le cui dimensioni consentono di rilevare un campionario vario e articolato di lotti edificati, particolari architettonici, abitudini di vita e trasporto. Che conducono a una sola conclusione: il suburbio perenne come categoria dello spirito ce l’abbiamo nel sangue, e per tentare di sradicarlo ci sarà bisogno non di un piano regolatore, ma di qualche generazione di campagne tipo quelle sull’alcol, il fumo, le malattie infettive.
La cosa che colpisce di più, è che nella necropoli diffusa la propensione salta all’occhio nonostante la mano livellatrice. Non quella livellatrice della Grande Vecchia, che sarebbe sin troppo ovvia, ma della povera amministrazione municipale, che col suo regolamento almeno limita gli spazi a due o tre categorie di rettangoli, contiene gli accessi ai veicoli, cerca con vario successo di mettere un po’ di ordine fra i riottosi dolori personali. Eppure.
Eppure si notano immediatamente, specie all’avvicinarsi del fine settimana, le grandi manovre delle maggioritarie tribù suburbane che riproducono qui il loro lifestyle. A partire dal passatempo coatto della manutenzione ad ogni costo: SUV stracarico di attrezzi, prolunghe, macchine varie, e accessoriato di anziano non autosufficiente per via del pass, senza il quale è necessario ahimè trasportarsi tutte le armi di distruzione di massa ignominiosamente a piedi fino alla villett… pardon, alla tomba.
La quale tomba inizia spesso con una solida e quasi impenetrabile siepe, dietro la quale ci si stupisce un po’ di non vedere il muso del Rottweiler d’ordinanza antimmigrato. A cosa serva, si può solo tentare di immaginare. Forse, come le ciotole di cibo nelle camere mortuarie sotto le Piramidi, l’ambiente villettaro così riprodotto serve simbolicamente a traghettare l’anima del caro estinto verso i giardinetti coi Nani Eterni lassù, negli spazi non inutilmente ristretti da un Comune dirigista.
Oltre la siepe, non il letterario buio, ma l’accecante bagliore di tutti i campionari di marmi possibili e immaginabili, con l’aggiunta del luccichio dei bronzi. Marmi e bronzi plasmati dagli artisti locali in un trionfo di tutto quanto l’obbligatorio utilitarismo della Villetta n. 1 ha sinora impedito: lucide are bianche prese di peso dalle pagine dei rebus della Settimana Enigmistica, pesanti tomi aperti su citazioni varie dal significato oscuro. In certi scorci, i vialetti della necropoli sono un concentrato (qui la densità è obbligatoria) di suburbio e relativi comportamenti, secondo modalità che non vedevo dall’epoca dei più micidiali campeggi di massa negli anni ’60: il bagnino col detersivo svuotato sul prato della buonanima confinante perché così si fa prima; il quattro ruote motrici di traverso sul vialetto manco fossimo in un cantiere della TAV; i cavi delle prolunghe e i tubi di aspirapolvere vaporello che tranciano qualche malcapitato fiore dell’altro dirimpettaio. Naturalmente, con un dispendio energetico proporzionale. Chissà che buco nell’ozono, sopra i cimiteri!
E in fondo non c’è molto da stupirsi, se fra puttini disposti come nanetti e aceri giapponesi “unici” identici a migliaia, la città dei morti assomiglia così tanto a quella dei vivi. Ci manca forse il centro commerciale, ma basta aspettare che (è già successo con gli ospedali, no?) a qualcuno venga in mente di dare spazio ai privati in cambio di qualche copertura delle spese di gestione, e il gioco sarà fatto. Sembra già di sentirli, gli assessori genialmente interventisti, dire che per mettere ordine nel suk (parola magica, che fa scattare il voto automatico) di fioristi e bancarelle si è pensato a una struttura centralizzata in project financing che, annessa alla cappella, ospiti il locale fleur du mall (nome giuro inventato sul momento, che spero non venga preso sul serio).
Con buona pace di tutti i buoni propositi di arginare il riscaldamento globale, contenere i consumi di suolo, fare qualcosa di qualunque genere per rispondere alla questione dell’esaurimento del petrolio. Macché: al massimo c’è qualche furbacchione che già specula su risaie e pioppeti pensando di farci un paradiso dell’etanolo neosaudita, naturalmente ristrutturato e ritagliato da simpatiche ottocorsie tipo la formigoniana “ Autostrada della Lomellina”.
Come barbaro, decisamente, era molto meglio il giovane Arnold. Che poi da grande almeno ha tentato di fare qualcosa di buono: ma nemmeno i suoi bicipiti fossili possono nulla, contro la dipendenza psicologica da combustibili fossili. Lo si vede anche nella necropoli di oggi, modello della metropoli di domani.