Non ci sono dubbi sul fatto che sia quanto mai giusto e opportuno sollevare e denunciare i pericoli e le nefaste conseguenze territoriali, ambientali e paesistiche di un eccessivo consumo di quel bene scarso che è il suolo.
Soprattutto di questi tempi.
L’eccessivo e dissennato consumo di suoli che oggi é in atto, ma che rappresenta anche, purtroppo, da lungo tempo un dato costante e peculiare del nostro Paese, non può essere però imputato né ascritto a generici e non ben identificati “nemici o consumatori” del suolo e dell’ambiente né ad altrettanto vaghe e non ben identificate ragioni.
Se non ci si sforza di individuare ed identificare col loro vero nome e cognome le reali cause di questo inaccettabile fenomeno e di identificare da cosa e da dove questo derivi e prenda origine e forza, difficilmente si potranno mobilitare con successo tutte le sane forze e le “anime belle” dell’ambientalismo o proporre e promuovere nuove leggi o regole che, se non ben mirate, saranno destinate, inevitabilmente, a rimanere inefficaci.
1) l’abnorme, smodato e dilagante consumo dei suoli del nostro Paese nasce, riguarda e prende origine, senso, forma e sostanza dalla natura e dall’origine esclusivamente “urbanistica” che ne causa il fenomeno.
O, meglio, dalle carenze, dalle insufficienze e dalle distorsioni create dalla assenza di una pratica corretta, diffusa e riconosciuta di amministrazione, pianificazione e gestione pubblica del territorio rivolta alla valorizzazione e alla difesa di quei beni che sono il suolo, la terra e il paesaggio. Aggravate ed esasperate dalla attuale situazione critica della finanza locale che spinge spesso i Comuni a ricorrere ai peggiori “giochi della rendita” o ad esagerate “concessioni o svincoli o varianti” nella speranza di potere incassare risorse e oneri di urbanizzazione.
E non da altro.
Il problema del consumo e dello spreco dei suoli è un problema solo ed esclusivamente urbanistico e di natura urbanistica, che nasce e prende origine da quella profonda crisi e da quella assenza di funzionamento dell’urbanistica, della pianificazione territoriale e della amministrazione del patrimonio suolo che caratterizza l’attuale momento;
2) l’odierna assenza di una corretta gestione e pianificazione del territorio -potremmo meglio parlare della scomparsa e del sostanziale abbandono in atto di ogni credibile e concreta pratica e regola urbanistica - non deriva altro che da quella riuscita e radicale operazione di smantellamento - una vera e propria “ controriforma” - dei principi, delle regole, dei metodi e degli strumenti di pianificazione, voluta e promossa da quella destra ideologica e “liberista”, “antipianificatoria”, “antiurbanistica”, “sviluppista e cementificatrice”, che ha saputo, negli ultimi due decenni, distruggere quelle poche e faticate conquiste e regole faticosamente introdotte dalla legislazione precedente. Ovvero di quella destra ideologica che in nome del più rozzo laissez faire, cerca di celebrare oggi il suo trionfante credo con il così detto Piano Casa col quale intende dimostrare la completa inutilità, se non la dannosità, di ogni e qualsiasi regola edilizia e urbanistica.
Purtroppo a questa vincente e straripante controriforma non ha saputo - e spesso nemmeno voluto - opporsi una sinistra politica, culturale e ambientalista minimamente decisa e consapevole (troppo spesso, invece, metrocubo-sensibile e anch’essa responsabile, pertanto, della odierna situazione e degli eccessi dei consumi di suolo in atto) che non ha saputo distinguere e orientarsi tra le dichiarate e vaghe esigenze di innovazione e di rinnovamento contro le evidenti volontà e i concreti atti legislativi di controriforma.
Ecco pertanto le ragioni del mio dissenso dalla leggina proposta:
- la leggina presentata si illude di poter intervenire contro gli effetti del consumo dei suoli anziché, come si dovrebbe fare, contro le cause. Essa pertanto ha poco più del valore di una grida, se pur alla ricerca di un facile consenso popolare (chi mai, alla domanda, sarebbe favorevole al consumo dei suoli?); si comporta come se, volendosi contrapporre agli effetti di una violenta e distruttiva guerra in atto, si promuovesse una leggina per stabilire il numero massimo dei morti ammissibili;
- ancora una volta si evita e non si vuole affrontare nel merito il tema della avvenuta distruzione di ogni forma di controllo e di pianificazione del territorio, accettandone passivamente e senza nessuna azione di contrasto l’esistenza;
- ancora una volta non si vuole riconoscere che solo il ritorno ad una corretta e operante pianificazione territoriale-paesistico-ambientale è in grado di definire le regole e le basi per un corretto e razionale controllo degli usi e delle destinazioni del suolo (che non è un problema di controllo solo quantitatativo ma anche, ed eminentemente, qualitativo) e delle eventuali e necessarie “compensazioni ambientali” (ma non nei termini vaghi e confusi come propone il testo);
- ancora una volta non si sanno guidare e non si vogliono mobilitare le sane forze ambientaliste disponibili (e sono molte) per avviare una battaglia di ricostruzione delle regole di una corretta conduzione del territorio contro i disastri prodotti dal becero “ laissez faire” imperante.
On ne change pas la société par décret (C. Montesquieu).