Capita spesso di sfogliare qualche libro o articolo del genere “come eravamo” e dintorni, trovando più o meno imperdibili istantanee di vita quotidiana. Ivi compresi ritratti di personaggi ancor oggi sulla breccia. E spesso sorprende notare come anche alle più truci manifestazioni fasciste si possano intravedere, sparsi qui e là fra ray-ban specchiati e paleo-bomber di pelle, anche look vagamente hippy che dialogano a fiero cipiglio coi capibanda, magari direttamente con Almirante in persona. Sicuramente si stanno scambiando importanti informazioni su come rompere le ossa agli odiati “mao”, per difendere l’oltraggiata trinità suolo-famiglia-capitale, ma qualcosa automaticamente stride, guardando quei particolari. Osservazione che poi, come sappiamo, in qualche modo ha fatto più tardi la fortuna degli stilisti.
La medesima sensazione, speculare, si prova guardando certe manifestazioni di sinistra, dove agli slogan formalmente liberatori si accompagna la sfilata piuttosto lugubre di abitini tre pezzi grigiastri, andreottiani occhiali di tartaruga da mezzo chilo, capelli taglio caserma e/o oppressi dal cerchietto, scarpine da Fantozzi lucide, e probabilmente assai scomode. Una vaga perplessità prospettica che si rafforza scorrendo le didascalie di quelle foto, solo per scoprire che le date quasi sempre coincidono con la recentemente e (consumisticamente) celebrata Woodstock Generation. Qualcosa non torna.
Oppure, meglio, per indulgere al citazionismo: le stesse cose ritornano. Come avviene nell’intervento di Sandro Roggio (vedi link in fondo a questo intervento) sulla cultura poco ambientalista della sinistra, quando ricorda ai presidenti delle regioni Toscana e Umbria, trascinati nel gorgo del piano casa dall’iniziativa metrocubocentrica di Berlusconi, che “ l'idea dell'edilizia volano della ripresa economica è di destra”. Siamo sicuri?
Cioè, siamo sicuri che proprio sull’ambientalismo, sulla tutela del paesaggio, del territorio, della natura e dei beni culturali si possa davvero far passare la discriminante fra (taglio molto con l’accetta) progresso e reazione, liberazione e repressione, eguaglianza e privilegio?
Fuori da qualche sala di benintenzionato convegno, se ci si riflette un attimo non esiste assolutamente nulla, di implicitamente democratico e popolare, nella prospettiva che un giorno il sol dell’avvenire possa sorgere o tramontare su duplici filari di cipressi tutelati in modo progressista da una corrispondente politica. Certo, si tratta di una cosa altamente auspicabile, ma lo è in fondo per tutti: al massimo possono cambiare le priorità.
Per capirsi meglio, basta dare un’occhiata ad esempio oltre Manica, dove si sta ancora sviluppando il conflitto strisciante fra due idee del tutto coerenti (e per noi trogloditi politici superficialmente equivalenti) di tutela del territorio e delle risorse naturali: quella del Labour e quella dei “new” Tories della generazione di David Cameron. Senza spostarsi in ambiti di elevata complessità e dimensione effettivamente globale, con importanti risvolti solo scientifico-tecnici, per non parlare di quelli di equilibrio politico, basti l’esempio parallelo delle politiche per la casa: eco-città sostenibili a pianificazione centrale, o finanziamenti per i privati là dove le condizioni di mercato sono più favorevoli? ampio coinvolgimento sociale, locale, trasversale alle pubbliche amministrazioni, o decisionismo tecnocratico emergenziale dettato dall’urgenza ambientale-sociale? Su questi aspetti, non pare affatto di vedere contrasti netti fra le posizioni dei due partiti, che anzi nei casi concreti di realizzazioni locali vedono notevoli convergenze, salvo alcuni attriti di carattere contingente per bassissimi interessi di collegio elettorale (nella cartella di Mall Città/Spazi della dispersione sono disponibili decine di articoli che ruotano attorno alle varie facce del problema). Labour e Tories divergono decisamente, invece, quando si arriva al tema centrale della redistribuzione delle risorse economiche: modello new town (quelle vere, britanniche degli anni ’50-’60) aggiornato, per la sinistra, spinta a una “nazione di proprietari” per i nipotini cresciuti ma affatto pentiti di Margaret Thatcher.
In altre parole, non è la prospettiva di lettura del valore relativo di ambiente e territorio, a distinguere l’approccio di destra e di sinistra, ma quella di uso e accessibilità sociale di quel valore. Esattamente come non erano i capelli più o meno lunghi nelle vecchie foto di Ignazio La Russa o di Oreste Scalzone in piazza a distinguere quanto faceva loro battere più o meno il cuore.
E se si accetta questa premessa, forse si può iniziare a ragionare più serenamente e laicamente su tutela, sviluppo, giustizia ambientale, salvaguardia del territorio e del paesaggio, efficienza economica, e compagnia bella.
Esistono scelte coerenti e scelte che non lo sono affatto. Scelte “sostenibili” e altre che usano questo facile slogan per poi negarlo immediatamente nei fatti. Non c’è niente intrinsecamente di destra o di sinistra negli sconti del 30% a chi acquista una bicicletta, ma forse, quasi sicuramente, è di destra lasciare che poi a decidere tutto sia solo il mercato, nel senso dei costruttori, e di sinistra trasformare questa scelta in una politica pubblica che comprende pressioni per certi modelli più adatti a promuovere mobilità dolce, piste ciclabili, eliminazione di barriere ecc. ecc. Forse, per riprendere la critica di Sandro Roggio riportata in apertura, “ l'idea dell'edilizia volano della ripresa economica è di destra” è qualcosa da riformulare, almeno per precisare quando e come questi benedetti mattoni ci facciano salire le scale del cielo, o scendere negli inferi della disperazione.
Altrimenti, si rischia davvero ad ogni passo la caricatura. O quanto meno, quel genere di parlarsi addosso fra amici che si capiscono sempre al volo, e annuiscono sorridendo. Senza accorgersi che il loro gruppo si assottiglia sempre di più.
Nota: qui il citato intervento di Sandro Roggio da l'Unità (f.b.)
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