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Manette! Manette! Dopo anni di messianiche battaglie garantiste dovute alle grane giudiziarie sue e di amici, Silvio Berlusconi ha riscoperto in questi giorni i bei tempi in cui metteva le sue tivù «a disposizione di Di Pietro», plaudiva a Gianfranco Fini scatenato contro il «governissimo dei ladroni, il ladronissimo Dc-Psi-Pds» e chiedeva agli aspiranti candidati di Forza Italia di sottoscrivere una impegnativa dichiarazione. Il testo era il seguente: «Dichiaro: 1) di non avere carichi pendenti; 2) di non aver ricevuto avvisi di garanzia; 3) di non essere stato e di non essere sottoposto a misure di prevenzione e di non essere a conoscenza dell'esistenza a mio carico di procedimenti in corso...».
Provvisoriamente accantonati i reucci del cavillo che a lungo l’hanno assistito nelle aule giudiziarie, ha dunque deciso coi «Cavalieri Azzurri» di Milano e ieri ad Atene di sparare tre colpi. Primo: «Fermate i vecchi politici! L'imperativo categorico di Forza Italia è sempre stato la moralità». Secondo: basta con quelli «che non hanno mai messo piede in una vera azienda, nel mondo del lavoro, persone che hanno soltanto chiacchierato nella loro vita, che non hanno combinato nient’altro che prendere i soldi dei cittadini». Terzo: «Ci sono tanti signori che hanno la casa al mare, la casa in città, la casa ai monti, la barca... Guardando a quel che guadagnano questi signori e quello che a volte devono anche dare ai loro partiti, mi chiedo: ma come hanno fatto a farsi tutte queste proprietà? Sono soldi rubati. Soldi rubati ai cittadini». Mentre salivano gli applausi dei fedelissimi e le polemiche anche intestine aperte da Marco Follini, tuttavia, tra le sue file si avvertivano vistosi sbandamenti accompagnati dalla domanda che cadde all’ultima cena: «Sono forse io, Signore?»
Al primo colpo si è accasciato Gianstefano Frigerio, vecchia talpa democristiana milanese, condannato a diversi anni di carcere in vari processi di Tangentopoli e nonostante ciò non solo eletto tra gli azzurri in Puglia col nome d’arte di Carlo Frigerio (lifting anagrafico), non solo salvato dalla galera dopo la conferma in via definitiva delle pene ma promosso due mesi fa a coordinatore dei dipartimenti. Al mancamento seguiva una catena di pesantissime emicranie. Prima Alfredo Vito, l’ex diccì tornato alla Camera come berlusconiano nonostante Paolo Cirino Pomicino gli rinfacci 22 condanne per corruzione. Poi Gaspare Giudice, per il quale i giudici di Palermo hanno chiesto inutilmente l’arresto considerandolo «a disposizione» del presunto boss di Caccamo Giuseppe Panzeca. E via via altri deputati e senatori condannati, inquisiti o miracolati dalla prescrizione: «Sono forse io, Signore?».
Al secondo colpo, nei dintorni sono impalliditi ancor più numerosi. Chi saranno mai questi politici che non hanno «mai messo piede in una vera azienda» e quindi nell'ottica berlusconiana sono «faniguttùn», fannulloni che «hanno solo chiacchierato nella loro vita» senza «combinare nient’altro che prendere i soldi dei cittadini»? Il vicepremier Gianfranco Fini, che in gioventù passò del tempo al Secolo d’Italia per darsi poi alla politica a tempo pieno 27 anni fa o Umberto Bossi, di cui si ricordano tre feste di laurea senza laurea e 10 mesi di lavoro all’Aci prima che entrasse al Senato 17 anni fa o il presidente della Camera Pier Ferdinando Casini che masticava politica con le merendine ed è parlamentare da 21 anni? O il ministro azzurro Enrico La Loggia, chiamato a svecchiare la vecchia politica nella scia di un fratello del bisnonno ministro borbonico, di un nonno senatore del Regno e di un padre deputato diccì e presidente della Regione Siciliana? Per non dire di Beppe Pisanu che fa il parlamentare da 32 anni e Claudio Scajola che ebbe in dote dalla Balena Bianca di papà sindaco la sua prima presidenza di un’Asl quando aveva 28 anni e tanti tanti altri azzurri che solo quello hanno sempre fatto: politica. «Sono forse io, Signore?».
Quanto al terzo colpo, il vice-coordinatore Fabrizio Cicchitto e la sotto-segretaria Margherita Boniver e il cappellano di corte Gianni Baget Bozzo e l’amato consigliori Gianni De Michelis e insomma tutti i reduci del Psi si sono sentiti fischiare le orecchie. La velenosa battuta berlusconiana sulle ville e le barche suona infatti fastidiosamente simile all’atto di accusa che Enzo Mattina lanciò a un’assemblea socialista del 1987: «Caro Bettino, dobbiamo affrontare la questione morale prima di tutto nel nostro partito. Diamo un’occhiata alle denunce dei redditi di molti nostri compagni. Con quei redditi dichiarati, al massimo si mantiene una buona casa di livello medio-basso. Invece cosa vediamo? Case lussuose. Yacht da centinaia di milioni. Ville al mare, in montagna, in collina. Cosa dobbiamo concludere? Che abbiamo sposato tutti mogli ricche? È possibile che tutte le ragazze ricche sposino dirigenti nostri?». Craxi gli rispose andandosene a fare una pennica. Tema: come dire agli elettori, dopo anni di battaglie contro le inchieste e i Robespierre del sospetto, che oggi sì, oggi basta una casa o una barca perché siano frutto di «soldi rubati ai cittadini»?
E poi, il Cavaliere ce l’aveva con la barca del «faniguttùn» D’Alema o con la villa principesca dietro piazza del Popolo del «faniguttùn» azzurro Angelo Sanza, villa avuta in «comodato d'uso» e dotata di campi da tennis, parco, ascensore, sala fitness, vasca in mosaico pompeiano accanto al letto e garage con tetto trasparente sotto la piscina con grande soddisfazione di Angiolino, figlio d’un impiegato Inam? O forse ce l’aveva con tanti altri del suo giro visto che lui stesso ebbe a dire: «Erano zucche e li ho trasformati in principi»? Ah, saperlo! Saperlo! «Sono forse io, Signore?». E il Signore, quello vero, rispose: «Forse no, ma di’ al tuo capo che chi è senza peccato...».