La risposta del governo alle vittime dell’ultima alluvione del Messinese non può essere soltanto: “Costruiremo a tempi brevi le nuove case”, come ha ripetuto ieri il presidente Berlusconi. Non può essere cioè soltanto “edilizia”. Dev’essere una risposta ambientale che porti al graduale, ma sicuro, risanamento dello sfasciume di territorio prodotto dall’abusivismo e/o da concessioni edilizie dissennate, dalla mancata attuazione di ben 1.191 ordinanze di demolizione disposte dalla magistratura, da disboscamenti e da incendi criminali che hanno “cotto” terreni discioltisi alla prima pioggia violenta, dalla permissività dei Comuni e da una Regione che, forte di una autonomia speciale, non ha mai voluto un vero piano paesaggistico.
Ieri l’altro l’arcivescovo di Messina è stato chiarissimo parlando di “territorio sfregiato, violentato dall’uomo”: “Dateci la garanzia di un piano di sicurezza fatto di opere concrete e non di carte o di parole vuote, perché simili tragedie non debbano più accadere”. Assai più della semplice risposta “edilizia” di Berlusconi, la quale elude la causa di fondo delle ripetute tragedie messinesi, e cioè il dissesto profondo di un territorio già difficile, con 41 torrenti sotterranei che “dormono” anni e poi si scatenano furiosamente. Alla messa in sicurezza nazionale ha accennato giorni fa lo stesso commissario Guido Bertolaso ipotizzando la cifra di 25 miliardi di euro. Ottimistica, temo. Dopo la gigantesca colata di fango di Sarno (160 vittime nel maggio ‘98) il suo predecessore, lo scienziato Franco Barberi, parlò di 40 miliardi di euro per un piano nazionale adeguato.
Da scalare in più decenni e però senza saltare un anno, perché, se non si ricomincia subito ad investire nella difesa del suolo (si era iniziato a farlo dopo la legge n. 183), per turare le falle di sempre nuove emergenze si spenderà di più di quanto serve al piano nazionale. La commissione De Marchi stimò, nel ‘70, in 10.000 miliardi di lire (circa 5 miliardi di euro da rivalutare) la somma necessaria in venticinque anni per il risanamento. Nei trent’anni seguenti si è speso tre volte tanto solo per le emergenze. Oggi il servizio Protezione del suolo del Ministero dell’Ambiente dispone della cifra di 198 milioni. Niente.
Per questo si è chiesto di accantonare le opere faraoniche dedicandosi a questi piani strutturali da cui dipende il futuro stesso dell’Italia. L’ha chiesto anche il presidente Napolitano oggi, non a caso, nel mirino delle polemiche del giornale della famiglia Berlusconi (e siamo soltanto all’inizio). “Un piano di sicurezza”, l’ha reclamato sabato l’arcivescovo di Messina. Ma la risposta del premier è sempre la stessa: avanti col Ponte sullo Stretto, subito le nuove case nelle zone alluvionate. L’uno e le altre su terreni fragili, per giunta sismici. La messa in sicurezza? Alla prossima tragedia. Non fa spettacolo, non fa immagine, non fa “passare alla storia”. E i poveri morti del Messinese restano di serie B.