Un paio d’anni fa, forse anche di più, mi aggiravo per l’ennesima fascia medio padana individuata dal ras legaiolo locale come fabbrica di consensi e prebende a colpi di audaci sparate retoriche. In quello come in altri casi, le sparate non puntavano in basso, a colpire con le classiche salve di pallettoni da trecento lire qualche poveraccio in cerca di vita migliore. Puntavano invece ad altezza di portafoglio, e facevano un bel rumore gratificante: HUB!
Apparentemente perso tra le raffiche da trecento lire in valuta bossiana, forse non saltava sufficientemente agli occhi il senso di quel suono: hub vuol dire nodo e questo lo sappiamo tutti, ma nella retorica urlante delle tonnellate di rapporti faziosi, convegni compiacenti, e va pure detto opposizione spesso fessacchiotta e premoderna, si perdeva la strategia. Che consiste, nel caso degli strateghi così così che ci riserba il destino, nel buttarci dentro un po’ di tutto in quell’hub, che da cosa poi nasce cosa e tutto si aggiusta. Che sia nodo di trasporti, su gomma ferro reti immateriali persone merci, o dell’immaginario commerciale lussuoso nazionalpopolare middle target, o di servizi veri & presunti, il nodo si presta a diventare groviglio, e si sa che coi garbugli azzeccati o meno la cultura nazionale ci va a nozze. Così da un aeroporto nasce una stazione, o viceversa, e dentro ci vanno il palaghiaccio che poi quando si scioglie genera il parco per grandi e piccini acquasplash, o la cittadella della moda esclusiva che però - non sia mai - non vuole escludere nessuno.
Questa nuova iniziativa del governo sugli stadi, altro non è se non la ratifica istituzionale di un altro passo, coerente senza uno sbaffo, nella direzione hub, vale a dire c’è tanto spazio vuoto da valorizzare, concentriamo lì aspettative e investimenti, e poi vediamo come va a finire. Di solito va a finire che paga Pantalone, ovvero che nascono baracconi senza capo né coda, magari poi mollati a metà dopo aver consumato inopinatamente ettari all’agricoltura. Con lo stesso top manager, nel frattempo passato alla concorrenza, che a nuovi convegni spiega con la sua bella faccina di tolla come quello sia ormai (dopo due o tre anni in media, così vanno le carriere oggi) un “modello superato”. E con l’esperto pescato chissà dove pronto a spiegare al popolo bue e asinello le grandi prospettive della nuova cittadella, o legge deroga, o rete nazionale … E qui, casca appunto il popolo di buoi e asinelli.
Perché dura ormai da alcuni anni, quello che dovrebbe essere un dibattito sugli hub, ma non riesce proprio ad esserlo. Siamo ancora (lo ha confermato ad esempio il nostro ex faro di modernità Veltroni inaugurando l’ennesimo “centro commerciale più grande d’Europa”) ai salumieri che si incazzano per la concorrenza della grande distribuzione, o agli intellettuali che continuano in un modo o nell’altro a storcere in naso e basta. Mi sia consentita, per farla breve, una troppo rudimentale carrellata pubblicistica:
1) c’è una raccolta interessante di qualche anno fa, curata dal sociologo Giandomenico Amendola, La Città Vetrina, dove parecchi contributi affrontano comparazioni internazionali, analisi sui comportamenti nei nuovi contesti, letture storico-critiche. Poi arrivano gli architetti, e siamo al disastro, perché la prospettiva pare tornare a filo di parete, manco fossimo precipitati all’epoca dei primi progetti di Victor Gruen: il centro commerciale e l’hub a funzioni miste complesse come nuovo nodo di centralità, eccetera eccetera. Senza alcuna considerazione del fatto che i signori hub non sono affatto tali, perché nascono in una logica di puro mercato, e si fanno concorrenza l’uno con l’altro rubandosi il nostro territorio, che nessuno considera mai nell’equazione. E qui il peccato è veniale, visto che gli architetti in quella raccolta erano una sorta di ospiti invitati, e il mestiere del sociologo non è quello di arginare consumi di suolo, promuovere il mix integrato di funzioni sul territorio ecc.
2) passa un po’ di tempo ed esplode la faccenda Superluoghi, ovvero gli hub abilmente riconfezionati dallo stilista archistar. Qui scatta un bel meccanismo, che facendo uno strumentale strafalcione latino potrei anche chiamare rerum sunt consequentia nomina. La critica qui se ne è andata in ferie e alla eccezionale (almeno inedita per il tema) esposizione mediatica ha fatto riscontro il modestissimo contenuto della pubblicazione, e la vita effimera del sito (nonostante si trattasse di iniziativa apparentemente istituzionale) che quel dibattito avrebbe almeno potuto in parte ospitare e promuovere. La cosa induce a una interpretazione dietrologica ma andreottianamente plausibile: l’obiettivo era solo mediatico, di affermazione dello slogan-neologismo, e contemporaneamente del punto di vista generale degli sponsor, ubiqui e ingombranti come non mai.
Più modestamente e sistematicamente, prosegue però la riflessione scientifica sui temi, come quella che ad esempio ormai da anni sviluppano i ricercatori del Laboratorio Urbanistica & Commercio del Politecnico di Milano. E che ha prodotto proprio sulla Urbanistica dei Superluoghi uno studio in una prospettiva internazionale scritto da Mario Paris (Maggioli 2009), a sostegno di una tesi: si tratta di una chiave essenziale per capire le aspettative degli investimenti in trasformazioni urbane-territoriali, che si propongono di costruire un nuovo riferimento sociale e immaginario forte del terzo millennio. E non conta molto sapere se si è d’accordo o no, se e come questa prospettiva confligga con una immagine di mondo ideale dove commercio e servizi continuano a svolgersi in assolate o nebbiose piazze all’italiana, fra bancarelle porfido sagrato della cattedrale e portico del broletto. Insegnano, le riviste internazionali, che se questo vuole il “mercato” questo avrà. Gli outlet insegnano, coi loro portici folk finti, e sono solo l’inizio, che non a caso l’ennesimo top manager o sociofago a gettone qualche mese fa ha definito “superati”.
Il libro di Mario Paris molto significativamente riporta in copertina una foto dall’alto in cui si intravedono la solita ridda di scatoloni irta di impianti tecnici, una fascia autostradale a otto corsie e addendi che la taglia manco fossimo in un quadro di Mondrian, e le inconfondibili sagome di aerei accostati a un terminal aeroportuale. Non siamo dalle parti di qualche misterioso futuribile polo di sviluppo concepito dal comitato centrale del PCC o dagli sceicchi di Dubai, ma solo alla periferia di Bergamo.
Tutto il mondo è paese, e lo cantava anche Pippo Franco qualche anno fa. “ I cavalli nel Nevada, fan la cacca per la strada … Proprio come qui da noi, a Bergamo”. In definitiva, se non si vuole davvero che quell’ HUB! stia poi a significare il rumore del ruttino che tutti ci digerirà, forse sarebbe meglio cominciare almeno a smetterla con la pura indignazione, e/o l’attesa di conquistare qualche amministrazione locale per opporsi una manciata di anni a qualche processo, che poi ricomincerà tranquillamente una volta passata a’ nuttata. Questi nodi territoriali sono la strategia centrale delle trasformazioni urbane e di chi – sono tanti, importanti, pesano – ci investe sopra sul lungo termine.
Sta anche alla risposta culturale adeguarsi, cercare di capire, cercare di escogitare proposte innovative e sostenibili perché queste trasformazioni avvengano nel rispetto della città, della società, dell’ambiente. Ma per favore senza pensare continuamente a qualche tremante vecchina che trascina le ciabatte sotto le bancarelle del centro storico, visto che comunque:
a) la vecchina è una elettrice di Formigoni, Berlusconi, Galan ecc. ecc.
b) tra le nuove professioni del futuro i nostri top manager avranno già di sicuro escogitato anche il figurante/vecchina, un po’ come i pupazzoni viventi di Disneyland.
Nota: a puro titolo informativo, su Mall ho riportato presentazione e introduzione del libro di Mario Paris; probabilmente ne proporrò anche qualche estratto in futuro, visto che l'Autore mi ha gentilmente mandato dei brani scelti; sugli altri testi citati si veda ad esempio il contributo di Gabriella Paolucci sull'utenza giovanile nei nuovi territori del consumo, o l'articolo dedicato a suo tempo al tema superluoghi da Francesco Erbani su Repubblica (f.b.)