“Un antropologo su Marte” è il titolo di un celebre libro di Oliver Sacks, neurologo statunitense, il cui tema è la difficoltà di comprensione delle emozioni tra un medico e una paziente autistica. Quest’immagine è quella che ha accompagnato le mie giornate preparatorie alla lezione che ho tenuto al Politecnico di Milano, agli studenti del primo anno, i futuri progettisti. Condizionata, infatti, probabilmente, dalle letture e dalle chiacchiere ai convegni che accompagnano la diatriba tra sociologi e architetti, tra le scienze sociali e le scienze dure, tra episteme e techne, l’interrogativo circa l’utilità del mio intervento attanagliava la mia mente e mi spronava alla ricerca di idee, immagini, parole che evocassero il dialogo auspicato tra sociologia e architettura, riuscendo anche a mettere in rilevo la complessità della dimensione urbana. Un impegno ambizioso, che come neofita entusiasta cercavo di affrontare con un velo di onnipotenza.
“Città sostenibili: ossimoro, utopia e realtà” è stato il titolo che ho scelto per il mio intervento e gli allievi del corso, nonostante fosse venerdì pomeriggio e, soprattutto, fossi una studiosa di scienze sociali, curiosi, hanno cercato, sin dall’inizio, di ascoltarmi. Si è subito parlato di “urban sprawl”: questione fondamentale e da affrontare per uno sviluppo sostenibile urbano e la salvaguardia della natura e termine cruciale per urbanisti, architetti, sociologi del territorio, ma non solo. Non è un caso che il prossimo congresso nazionale dei sociologi urbani, che si terrà a settembre, abbia a tema il consumo di suolo; la cui lotta non è solo un imperativo categorico per gli addetti ai lavori, ma un impegno civile per tutti i cittadini.
Ed è stato proprio il ruolo attivo della cittadinanza, la partecipazione dal basso, soprattutto nella progettazione di città sostenibili, uno dei leitmotiv che ha accompagnato le ore insieme, soprattutto grazie alle sollecitazioni del prof. Bottini che è riuscito ad intersecare le mie parole con cammei urbanistici e architettonici, completando le visioni comuni e regalando spunti per ulteriori approfondimenti. I quartieri di Vauban a Friburgo, BedZed nel Sutton a sud di Londra, esempi virtuosi di sostenibilità urbana, sono sorti su aree industriali dismesse i “brownfields”, terreni riqualificati e riprogettati proprio grazie all’iniziativa pubblica. Ma una città sostenibile non è fatta solo di edifici e di strutture.
Nella sostenibilità urbana rientrano le scelte legate alla mobilità, agli acquisti, all’alimentazione, le scelte energetiche; insomma, più in generale, come si è cercato di sottolineare, all’intera vita della comunità urbana e alle relazioni che vi si instaurano all’interno. Ecco perché nella sostenibilità urbana si è cercato di affrontare questioni come il cibo a km zero (la dieta delle cento miglia, ovvero, come ci hanno insegnato due giornalisti che per un anno si sono alimentati solo con i prodotti coltivati vicino la loro casa di Vancouver, Columbia Britannica Canadese), l’attenzione per la filiera alimentare con la conseguente scelta di aderire al gruppo di acquisto solidale e/o ad altre forme di consumo critico, il co-housing e il social housing in chiave sostenibile dove spazi e tempi di vita vengono condivisi, creando nuove forme di mutualità e di sostegno reciproco.
Per quanto riguarda la mobilità, l’esperienza raccontata è quella di New York, sfida verde sulla quale il sindaco Bloomberg ha scelto di investire: il car sharing che, se incentivato dalle amministrazioni, come nel caso statunitense, rappresenta una reale alternativa per gli abitanti e quindi una trasformazione culturale nello stile di vita. La trasformazione culturale degli atteggiamenti che conducono all’insostenibilità delle nostre città è stato uno degli interrogativi posti agli studenti che, concordi, hanno dichiarato come l’educazione dei cittadini da parte delle amministrazioni locali debba necessariamente passare attraverso premi, incentivi, risvolti concreti e tangibili, che mostrino, sin dall’inizio, la ricaduta positiva di una scelta. Discutendo di città sostenibili si è parlato anche di “transition town”, città che transitano alla sostenibilità e che stanno transitando anche in Italia.
L’esperienza che ha terminato la transizione e che è entrata a pieno titolo nella rete mondiale è quella di Monteveglio, un piccolo paese di cinquemila anime in provincia di Bologna. Difficile dimostrare la transizione di un paesino così piccolo: gruppo guida verso la sostenibilità, incontri di approfondimento, alimentazione sostenibile con la creazione di un mercato locale e la valorizzazione di tutti i campi, gli orti, i terrazzi coltivati per l’autosufficienza alimentare. Si è parlato anche di contesti internazionali, di Totnes e Brixton, transiton town che hanno messo in atto l’utilizzo della moneta locale per salvaguardare l’economia del territorio e promuovere la spesa nelle botteghe della città, del distretto.
L’utilizzo della moneta locale, ovvero che una moneta sia accettata solo in un determinato territorio, privilegiando per i propri acquisti i commercianti della zona e questi, a loro volta, tenderanno a rifornirsi dai produttori locali che accetteranno la moneta locale, ha sollecitato i futuri progettisti che si sono interrogati sui risvolti di tale meccanismo e delle ricadute economiche in un mondo sempre più globalizzato. Tutte le questioni presentate mostrano il grande fermento attorno ai temi della sostenibilità urbana e parlarne per tante ore insieme ha permesso di presentare una gamma significativa di possibilità che talvolta corrono il rischio di ridursi ad attività di “greenwashing”, sostenibilità di facciata, senza sostanziarsi in un reale e concreto cambiamento di paradigma.
E’ evidente, a questo punto, come il collegamento dei saperi e quindi l’approccio transdisciplinare a cavallo tra sociologia, architettura, politica, filosofia, sia necessario per comprendere la complessità del nostro tempo e, soprattutto, per leggere lo spazio urbano attraverso una visione sistemica e integrata dei bisogni dei cittadini.
Marcella Messina Dottoranda in Antropologia ed Epistemologia della Complessità
Università di Bergamo