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È in auge una giudiziosa campagna d´opinione contro i toni forti. Con rimbrotti equamente ripartiti contro le due bande estreme del campo politico, la destra gradassa e la sinistra indignata. Però, al netto del fair-play e di altre non secondarie questioni di civismo e rispetto, restano sul campo, e contribuiscono a incendiarlo, questioni che purtroppo non sono affatto di tono (magari lo fossero!), ma di sostanza.
Per esempio la parola "censura", che è sgradevole e ingombrante quanto la parola "regime", della quale è sintomo, viene sovente tacitata di esagerazione strumentale, e isterica. Bene: vogliamo entrare nel merito, allora, per verificare se questa parola dia scandalo perché la si adopera a sproposito, o piuttosto perché la si adopera a proposito?
Ieri l´altro la magistratura competente ha fatto sapere che non c´è alcuna ragione di procedere per diffamazione contro Sabina Guzzanti e il suo Raiot. Poiché la Rai aveva sospeso ufficialmente la trasmissione esattamente per questa ragione - perché temeva le conseguenze legali - sarebbe logico presumere che a Guzzanti fossero restituiti, a questo punto, immagine e favella. Non accade e non accadrà. Da un punto di vista logico (e non politico) è lecito o no parlare di censura?
Due giornalisti di punta della Rai, Biagi e Santoro, dopo che in un discorso pubblico il premier li nominò persone sgradite e nemiche, sono stati levati dalla programmazione. Che il caso sia risaputo e logoro non cambia di una virgola la sostanza (non il tono) della nostra domanda, ugualmente risaputa e logora: è lecito o no parlare di censura?
Il comico e dicitore Daniele Luttazzi invitò nel suo talk-show il giornalista Travaglio, autore di un libro (regolarmente in vendita) contro Silvio Berlusconi. Carriera televisiva stroncata, e significativa difficoltà, per Luttazzi, di trovare teatri disponibili a farlo lavorare, specie nel Nord del Paese. Di nuovo: è lecito oppure no parlare di censura?
Dario Fo e Franca Rame hanno scritto una farsa satirica su Silvio Berlusconi. Prima alcuni consiglieri del Piccolo Teatro, nominati dalla maggioranza di centrodestra, si dichiarano contrari alla messa in scena perché lo spettacolo «fa politica schierata» (da Aristofane in poi, in effetti, capita), poi una rete satellitare lo manda in onda senza audio nel timore delle solite «conseguenze giudiziarie». Per la quarta volta: è lecito o no parlare di censura?
A Bologna, l´etologo Celli è invitato a parlare del comportamento dei cani in una sala pubblica. L´argomento non è strettamente politico, a meno di considerare Celli un manipolatore della scienza così geniale da volgere l´esegesi dei volpini e dei pastori bergamaschi in polemica antigovernativa. Ma dal Comune fanno sapere agli organizzatori del dibattito che Celli è «persona sgradita» (aridagli), e siamo punto e a capo: censura o cos´altro?
Infine, e forse perfino peggio, la vicenda della fascia preserale di Raiuno. Ferruccio De Bortoli viene indicato tra i possibili protagonisti Rai di quell´Ora Fatale, quella contesa a colpi di maglio tra Ricci e Bonolis. Pressioni di area governativa sconsigliano e dirottano, il presidente della Rai Annunziata sostiene che il premier in persona (proprietario di Mediaset) telefona ai consiglieri di viale Mazzini per consigliarli, e l´Unità, finora non smentita, giorni fa scrisse che lo stesso direttore generale discusse (diciamo così) con Berlusconi l´assetto della fascia preserale. L´accusa, nel caso in questione, è semplicemente gravissima, perché allo scopo censorio si sommerebbero ragioni di concorrenza sleale, rilevanti penalmente, nonché di Leso Mercato, crimine inaudito sotto questo cielo ma inevitabile strascico logico del famoso conflitto di interessi (altra questione sostanziale spesso retrocessa a una questione di cattivo umore di chi la tira in ballo).
A corollario di quanto detto, aggiungo due osservazioni. La prima: il dibattito sui precedenti casi si è dipanato principalmente sui toni inopportuni (di nuovo!) e lo stile dei censurati, sulla natura della satira, sul carattere fumantino della Guzzanti, sulla consunzione o meno del teatro di Fo-Rame, quasi si fosse a una convention di critici. Assai di meno ci si è soffermati sulla notizia-notizia, che era ed è, indubitabilmente, il secco limite alla libertà di espressione che queste vicende descrivono. Bastasse il giudizio negativo su uno spettacolo, per volerlo oscurare, io cancellerei di mio pugno metà dei palinsesti Rai e Mediaset: il fatto è che non basta affatto, quel giudizio, e la libertà d´espressione contiene, come scomoda conseguenza, appunto la messa in onda di facce e parole "antipatiche": ai giudici il compito, quando sia necessario, di risarcire i diffamati o di perseguire i reati commessi per mezzo della parola. Il resto, tutto il resto, è solo e soltanto censura politica.
Seconda osservazione: che a rimanere vittima di ostracismo politico sia stato, insieme ai ben noti agitatori di sinistra sopraccitati, anche Ferruccio De Bortoli, la dice lunga sull´imprevidenza di un dibattito fondato solo sul garbo politico: si sia garbati o meno - e De Bortoli lo è assolutamente e ai tempi del Corriere lo fu anche valorosamente - si rischia comunque di essere rispediti a casa, con tanti saluti. E dunque garbatamente, perfino squisitamente, con un cordiale sorriso sulle labbra e stringendo la mano a tutti, domando: non è arrivato il momento di chiederci che cosa sta succedendo, in questo paese, alla libertà d´espressione?