Eddyburg ha salutato l’avvento del governo Monti con il commento “meglio una banca che un lupanare”, siamo proprio sicuri? Credo che i provvedimenti finora adottati e soprattutto le sue intenzioni programmatiche vadano esaminate con molta attenzione per evitare che il sollievo per la temporanea rimozione di Berlusconi ci renda orbi come gli editoriali strapuntino di Scalfari. La posta in gioco è alta. Non si tratta di scegliere tra una puttana di buon cuore o un banchiere cattivo, come in Ombre rosse, ma di capire che al motto di “coesione” stiamo consegnando senza resistere tutti i beni comuni agli investitori.
Coesione sociale senza giustizia sociale
“Piove sul giusto e sull’ingiusto. Solo il giusto si bagna, l’ingiusto gli ha rubato l’ombrello” , dice il proverbio cinese.
Spread e coesione sono le due parole più ossessivamente ripetute da giornalisti e politici. Una è sinonimo di divisione, divario; l’altra di unità, unione. Coesione, però, non è sinonimo di giustizia. I rematori di una galera si muovono allo stesso ritmo imposto dalla frusta del padrone. Remano coesi, si potrebbe dire, così come i forzati che raccolgono cotone o costruiscono strade legati ad una catena che li fa muovere come un’entità unitaria. Coesione senza giustizia è il modo migliore per usare il lavoro di molti a vantaggio del profitto di pochi. Che un intero popolo sia indotto non solo a dissanguarsi per questo obiettivo, ma a riconoscerlo come suo, è un capolavoro di retorica, la vera alzata d’ingegno dei professori.
D’altronde come spiegano gli strateghi militari, chi vince l’infowar, la guerra dell’informazione, vince la guerra, inclusa quella attualmente in corso che, a scala mondiale, il capitale ha scatenato contro il lavoro.
Ladri di merendine
Per giustificare alcune misure del governo, che perfino i suoi esegeti più convinti fanno fatica ad apprezzare, si dice che hanno avuto solo 17 giorni per metterle a punto. In realtà sono anni che i professori stanno sperimentando il loro programma, ed è proprio in base a questa loro competenza che sono stati chiamati/inviati.
Il pilastro fondante del loro modello economico, e del progetto politico che ne deriva, consiste nel dare un prezzo a tutto quello che può diventato oggetto di compravendita, privatizzarlo, tassarlo. Il che vale per tutto, dall’acqua all’aria, dall’istruzione alla salute, dai semi di grano alle bombe. Solo benessere o sofferenza umana non trovano spazio nei loro algoritmi, a meno che non possano essere convertiti in voci contabili.
Poco sorprende, quindi, se invece di investire in prevenzione, rendere le città meno inquinate, promuovere e consentire stili di vita meno malsani, il governo stia studiando la possibilità di tassare il cosiddetto cibo spazzatura e di utilizzare il relativo gettito per costruire ospedali, ovviamente da regalare ai privati. Trattandosi di una tassa regressiva e palesemente classista/razzista - ormai solo i figli dei ricchi mangiano la marmellata fatta dalle nonne – la sua introduzione non è inverosimile. Restiamo in attesa di una tassa sulle biciclette per finanziare i circuiti di formula uno e di un censimento, seguito da esproprio, delle piantine di basilico per finanziare le multinazionali che producono ogm.
La città revanchista
Gran parte dei provvedimenti attuati e di quelli allo studio riguardano la casa, intesa esclusivamente come base imponibile. Non ci si occupa degli squilibri territoriali e sociali accentuati dallo smantellamento del patrimonio residenziale pubblico, né della situazione di colpevole abbandono nella quale sono state lasciate molte aree urbane. Quel che solo conta è, nell’immediato, quanto si può ricavare grazie al fatto che gli italiani sono stati costretti a diventare proprietari della casa dove abitano e, in prospettiva, quanto si potrà ricavare da più efficienti e competitive modalità di uso del patrimonio edilizio.
E’ innegabile l’abilità dialettica mostrata dal professor Monti a proposito di questi temi. Non si può non esser d’accordo, infatti, sulla necessità e opportunità di una adeguata tassazione dei beni immobiliari. Il gettito, però, dovrebbe andare alle amministrazioni locali per erogare servizi ai cittadini e attuare, così, almeno una parziale redistribuzione della rendita incamerata dai singoli proprietari.
Purtroppo non è questo lo scenario auspicato e previsto. Solo una parte delle tasse sugli immobili rimarrà ai comuni, i servizi locali che non sono ancora stati distrutti o privatizzati dovranno esserlo al più presto, l’imposizione avvantaggia fortemente e intenzionalmente i grandi patrimoni. Anche le detrazioni ammesse – come lo sconto concesso ad una famiglia con due figli - ricca o povera, evasore fiscale o onesto contribuente – ma non all’anziano che vive solo - si traducono in forse piccole, ma non meno odiose, conseguenze. La vera e propria punizione, poi, con aliquota di seconda casa, di coloro che, possedendo l’abitazione nella quale vivono i genitori, non li cacciano e mettono a reddito la proprietà, è la misura più rivelatrice dello scarto fra i retorici appelli al sostegno della famiglia e alla solidarietà generazionale e le intenzioni del governo. Non è dato sapere se, nelle simulazioni elaborate da Monti e dai suoi boys, incoraggiare la delocalizzazione di questi vecchi improduttivi in appositi ospizi e ricoveri è una misura dalla quale ci si aspetta la crescita del pil.
Non è dato sapere, nemmeno, dove si trovano i 6 milioni di famiglie che, si è vantato Monti oer sostener che si tratta di una manovra equa, non dovranno pagare la tassa sugli immobili. Siccome è improbabile che questi casi non siano stati mappati, la riluttanza a rendere pubblica l’informazione è un segnale inquietante circa le reali intenzioni del governo.
Oltre che della manovra già adottata, infatti, la casa sarà il fulcro anche dei prossimi interventi legislativi, a cominciare dalla revisione del catasto. Di questa riforma, in linea di principio, utile e necessaria, non si conoscono ancora i dettagli. C’è, però, una dichiarazione di Monti che non può non suscitare preoccupazione. Invece di spiegare come una più adeguata corrispondenza tra valori di mercato e valori catastali servirà a restituire alla collettività plusvalori indebitamente incamerati, Monti ha detto che la riforma servirà a individuare coloro che “magari involontariamente, compiono l’abuso” di abitare in una casa per la quale non pagano abbastanza tasse. Più precisamente servirà a delimitare le microzone urbane nelle quali i valori catastali più si discostano dai valori di mercato.
Per comprendere il significato e la portata di tale dichiarazione bisogna tener conto di due elementi. Innanzitutto, la riforma del catasto è presentata come una misura (forse l’unica insieme ai licenziamenti ) per la crescita. Il che vuol dire che la presunta futura crescita economica dell’ Italia non si baserà sull’ agricoltura, sull’ industria manifatturiera e tanto meno su innovazione e ricerca, ma sul mattone, nelle due varianti di grandi infrastrutture ed edilizia. In secondo luogo è verosimile che l’attenzione non sarà più rivolta all’edilizia in genere- quella un pò cafona dei condoni berlusconiani- ma a quella più di classe, nelle aree di prestigio.
Secondo i rapporti preparati dai dipartimenti real estate delle grandi banche d’affari, infatti, le prospettive d’investimento immobiliare in Italia solo promettenti solo in alcune zone, soprattutto nei quartieri centrali e nelle parti di città storiche con più potenzialità di sviluppo turistico.
Se in nome della sbandierata trasparenza il governo rendesse pubbliche la mappa delle microzone di prestigio – in attesa della revisione del catasto potrebbe farsele prestare dal fondo immobiliare di qualche banca, anche Banca Intesa ne ha uno molto ben attrezzato - i cittadini potrebbero rendersi conto degli effetti che la revisione dei valori catastali produrrà sulla composizione e distribuzione della popolazione delle città, soprattutto dei centri storici.
Potranno, cioè, capire che la riforma non contiene elementi di giustizia sociale, ma che al contrario:
- rendere insostenibile la tassazione sulla casa per anziani, pensionati e famiglie a basso reddito che ancora si ostinano ad abitare nei centri città significa obbligarli a vendere
- questo non è un effetto imprevisto e indesiderato, al contrario è parte della strategia di valorizzazione delle città che devono essere liberate dai poveri per poter essere sviluppate - finora si era agito demolendo quartieri e abitazioni di proprietà pubblica, adesso non potendo mandare l'esercito a sgombrare chi abita a casa sua si induce il cittadino che "non sta più sui mercato" a spostarsi
- la scelta di commisurare le tasse sulla casa alla dotazione di servizi disponibili nel quartiere accrescerà la segregazione sociale. E' forse questo l'elemento più perverso della strategia Monti. Invece di usare le tasse per fornire una dotazione minima di servizi a tutti e costruire così una città meno ingiusta, si persegue il disegno opposto. La città non è un diritto o, piuttosto, tale diritto è proporzionale al potere d'acquisto. Se i poveri non possono più permettersi la città, che la cedano agli investitori e se ne vadano altrove.
Come in un puzzle, le misure di cui scrive Paola Somma (aveva inviato il suo intervento a capodanno, ma si era impantanato tra gli auguri) si collocano in un quadro che è riduttivo definire preoccupante; altro importante tassello, nel campo delle politiche territoriali, sono le scelte per le Grandi opere (inutili, costose e spesso dannose), affidate al ministro passera ma secondo una filosofia che sembra condivisa. Come moltissime delle iniziative di questo governo sono misure che vengono presentate dai protagonisti con argomentazioni logiche, e questo consente di discuterle: come si fa in questo articolo. Il cui contenuto condivido pienamente. Aggiungerei che lo scandalo è anche il fatto che, se è giusto tassare i redditi da patrimonio non meno (e magari più) dei redditi da lavoro; sarebbe giusto che tra i primi andassero anche tassati, seriamente, i redditi da patrimonio finanziario e non solo quelli da patrimonio immobiliare
Su questo tema (o accanto ad esso) ce n’è un altro, che nell’opinione pubblica sembra confondersi con esso: queste misure hanno a che fare con l’antica battaglia degli urbanisti contro la rendita fondiaria urbana? Su questo argomento bisognerà tornare. Mi sembra però che il rapporto sia molto marginale. Le misure montiane prelevano una parte del reddito , reale o virtuale, dei cittadini imponibili. L’obiettivo dei tentativi di riforma urbanistica (dai tempi di Nathan e Giolitti agli inizi del secolo scorso, a quelli di Fiorentino Sullo e della stagione delle riforme degli anni Sessanta dello stesso secolo) era il cosiddetto “plusvalore” : il maggior valore venale acquisito dai beni immobili (aree ed edifici) per effetto di decisioni e investimenti pubblici. La sede giusta per incamerare parte consistente di quel valore sembrava essere (ed è) quello della vendita. Ma di questo non si parla. Non ne parla nessuno, neppure a sinistra. Ed è facile comprendere perché. Ma occorrerà ragionarne più ampiamente.