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Elio Garzillo
Fantasmi per una strana disfatta: demolizioni di monumenti nell’anno 2012?
11 Giugno 2012
Scritti ricevuti
Sembra che il Mibac abbia abdicato alla sua funzione principale: la tutela del nostro patrimonio culturale. Inviato ad eddyburg, 11 giugno 2012 (m.p.g.)

Con il terremoto sono riapparsi, in velocità, subdoli e dimenticati fantasmi.

Si è tornati anzitutto a far distinzione fra edilizia di maggiore o di minore valore. Un argomento culturalmente superatissimo, ma determinante per legittimare e giustificare ogni azione di pulizia etnica nel campo dell’edilizia.

Gli edifici antichi e il patrimonio diffuso, fino a pochi giorni or sono nostro volto e nostra memoria collettiva, sono improvvisamente apparsi come pietre mute quando non possibile incombente rischio. Anche perché le strutture statali di tutela, istituzionalmente demandate proprio alla salvaguardia di “quei beni”, hanno subito dimostrato -quasi agendo contro natura- una inedita disponibilità ad autorizzare o tollerare demolizioni.

Non hanno convinto “gli altri” e non hanno agito “in proprio”. Non hanno preso le attese decisioni responsabili e comunque finalizzate alla salvaguardia del patrimonio, mettendo in atto (con altrettanta urgenza) interventi di messa in sicurezza come quelli, numerosi, che quelle stesse strutture avevano attivato nella zona di Reggio Emilia a seguito del terremoto del 1996. Interventi, esplicitamente previsti allora come oggi dalla normativa dei beni culturali, che avevano reso possibili opere rapide, economiche e di definitiva messa in sicurezza (con l’impiego di fasciature, incatenature, imperniature, incollaggi: non di puntellature). A Bagnolo in Piano, Villa Sesso, Correggio e in altre località e sempre in situazioni (campanili e altro) che apparivano staticamente compromesse, certo non meno di quelle per cui oggi viene approvata la demolizione. In altre parole: la “prevenzione”, non fatta nei decenni trascorsi, non viene condotta neppure -nei numerosi casi in cui è pur possibile- nell’emergenza.

L’opinione pubblica (cioè i cittadini, molto e dolorosamente provati dalla situazione), quasi liberati da ogni remora morale, si sono all’improvviso convinti che le demolizioni possono essere una soluzione: anzi, l’unica possibile soluzione per molti problemi del momento. Le richieste a procedere in tal senso si sono moltiplicate ed hanno assunto le più varie e stravaganti forme, tutte enfatizzate dagli organi di informazione. Gli stessi organi (carta stampata e non) anzi “celebrano” le modalità di esecuzione delle demolizioni, classificate in gruppi, dalla dinamite controllata fino allo smontaggio. Sembra di essere tornati…a proposito di fantasmi…alle (inizialmente lodate) demolizioni del 1908-09 a Messina o a quelle (aspramente criticate) del 1976 in Friuli.

Subito dopo la scossa del 20 maggio, molti Sindaci apparivano più rispettosi -nel confrontarsi con le strutture storiche antiche, la loro salvaguardia o la necessità di successive ricostruzioni- degli stessi organi di tutela (che operavano invece come e umilmente insieme agli Organi della Protezione Civile), poi anche quelle voci sono sembrate affievolirsi. Si è avviata una “spirale” nella quale gli uomini e le loro “cose” non rappresentano e non costituiscono più un unicum inscindibile.

E’ prevalsa una visione cavillosamente burocratica del “valore” degli edifici, in cui, ad esempio, la “stratificazione” (tutti i nostri edifici hanno momenti costruttivi di diversa epoca) da elemento di forza si trasforma in negativo apprezzamento. Quindi in inedita giustificazione per l’eliminazione, avendo anche messo in comparazione “quel corpo di fabbrica” con altre esigenze, ad esempio quelle della viabilità.

Ai gravissimi danni provocati dal terremoto si aggiungono quindi quelli voluti dall’uomo e dall’opinione pubblica, che ha fatto subito proprio il passepartout dei beni culturali.

Una cosa è certa: qualora si intendesse demolire il più possibile, si sta percorrendo la strada più opportuna e si sta utilizzando il momento più propizio. Dietro, forse, c’è lo spauracchio delle “puntellature a tappeto” del centro storico dell’Aquila, quelle che continuano ad aspettare, esauste, i futuri interventi di ripristino.

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