Il ministro Ornaghi fa sul serio: ha impugnato il Piano casa del Lazio davanti alla Corte costituzionale, e la stessa sorte toccherà al sedicente disegno di legge della Campania sul paesaggio, lì dove venisse approvato.
In effetti, il principale risultato dell’iniziativa congiunta dell’ambientalismo storico e di Eddyburg con l’appello “Salviamo la penisola sorrentina-amalfitana”, oltre alle prestigiose adesioni, al battage che si è scatenato in rete, alla presa di distanza di ben due ministri (Catania e Passera), è stato l’irrituale pronunciamento preventivo della Direzione regionale del paesaggio della Campania – del Ministero quindi – che ha diramato sull’argomento una nota ufficiale.
In essa si afferma seccamente che il disegno di legge presenta, come a suo tempo evidenziato dalle associazioni, molteplici punti di incostituzionalità (a partire dal titolo della legge, che assegnerebbe alla regione nientedimeno che i compiti di tutela del paesaggio), escludendo ogni responsabilità nella elaborazione del testo, che pure la regione affermava essere stato scritto di concerto con il ministero.
Ciò nonostante la Campania va avanti: dopo il flop in consiglio regionale del 18 settembre scorso, quando era mancato il numero legale, il disegno di legge è stato rimesso all’ordine del giorno, e verrà esaminato in una delle prossime sedute.
Tanta ostinazione aiuta una volta di più a comprendere le reali finalità del provvedimento, che con l’alibi del paesaggio porta avanti il lavoro di delegificazione urbanistica iniziato in Campania tre anni fa, con il primo sciagurato piano casa del centrosinistra, e proseguito poi con tre successivi provvedimenti legislativi, contenenti circa 100 abrogazioni puntuali e modifiche sostanziali, che di fatto azzerano i due principali strumenti di governo del territorio, la legge 16/2004 e la legge 13/2008.
Il risultato è un singolare esperimento di “legiferar facendo”, con lo strumento legislativo impiegato non già per definire una volta per tutte le regole del gioco, ma per rincorrere l’esigenza particolare del momento, che nello specifico è quella di sottrarre alle tutele vigenti due territori strategici – la fascia pedemontana della Penisola sorrentino-amalfitana, e i comuni della zona rossa del Vesuvio – restituendoli alla disponibilità dei piani casa di iniziativa comunale.
Un’iniziativa improvvida, che apre la strada ad un ulteriore incremento dei valori esposti, in termini di vite umano e di capitale infrastrutturale e urbano, in aree fragilissime, contribuendo così ad innalzare ulteriormente il debito pubblico territoriale nazionale, non meno rilevante di quello finanziario.
A queste osservazioni la regione risponde asserendo che queste aree non sono soggette a tutela paesistica, e che pertanto essa può disporne a piacimento, e qui si apre una discussione di cruciale importanza per la pianificazione paesaggistica in Italia.
Con il disegno di legge vengono infatti scorporati dal Piano urbanistico territoriale della Penisola Sorrentina-Amalfitana i quattro comuni pedemontani non interessati da decreti ministeriali di tutela (S. Maria la Carità, Angri, Nocera Superiore,Nocera Inferiore): come se il PUT potesse non essere considerato uno strumento di tutela paesaggistica di valenza unitaria, con la possibilità di smembrarlo in parti che tale valenza hanno, ed in altre aventi mero carattere urbanistico, nelle quali la potestà regionale sarebbe dunque piena.
La realtà, come ben raccontato da Francesco Erbani nel suo articolo su Repubblica.it, è diversa: aveva ragione da vendere Piccinato a disegnare in questo modo il PUT, cogliendo magistralmente l’unità paesaggistica, ecologica e morfologica della Penisola con i territori pedemontani che la raccordano alla Piana campana, riconoscendo in essi la prima essenziale fascia di protezione. Senza dimenticare che il territorio di alcuni di questi comuni (le due Nocere,ad esempio) si spinge sino al crinale dei Monti Lattari, ad oltre 1.000 metri di quota, nel cuore dunque dell’ecosistema Penisola.
Una tale logica dissettoria la nuova legislazione “in progress” della Campania la applica anche al territorio rurale, ispirandosi così al funesto disegno di legge Lupi sul governo del territorio. Nel momento in cui il ministro Catania propone il primo rivoluzionario disegno di legge nazionale sul consumo di suolo, si ripropone in Campania la funesta suddivisione delle aree agricole in “ordinarie” e “strategiche”, che è poi la maniera migliore per giustificare a priori ogni loro ulteriore dissipazione.
A fronte di simili approcci, il punto qualificante del disegno di legge sarebbe l’introduzione di non ben specificati strumenti di compensazione ambientale (l’eco-conto), ispirati ad approcci messi a punto in tutt’altri contesti (i tecno-paesaggi minerari della Ruhr), evidentemente poco idonei ad essere applicati alla complessità dei nostri mosaici rurali storici.
Insomma, proprio un bel pasticcio. La cooperazione istituzionale stato-regioni, essenziale per una effettiva applicazione del Codice del paesaggio, segna il passo tra forzature e furberie. In questa storia complicata l’esperienza della Campania non rappresenta al momento la pagina migliore.