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«Mussolini andò al potere nel '22, ma non con la marcia su Roma. Andò al potere nell'assoluto rispetto dello Statuto Albertino. E allora, attenzione ai primi sintomi. Non facciamo finta di non vedere». Oscar Luigi Scalfaro ha infiammato la platea della Festa nazionale dell'Unità. Ad invitarlo a Bologna è stato personalmente il segretario Ds Piero Fassino, che lo ha voluto accanto a sé per la giornata dedicata al sessantesimo anniversario dell'8 settembre. E il presidente emerito della Repubblica, che ha accettato «per ragioni di affetto e di amicizia», ha scaldato gli animi dei circa duemila stipati nel Palaconad. Come? Semplicemente ripercorrendo le tappe che hanno segnato la storia d'Italia dal '22 al '45. E però, nel farlo, non nascondendo la sua apprensione per il rischio che la storia si ripeta. Perché oggi, ha detto l'ex capo dello Stato criticando le diverse leggi approvate «per una o due persone», siamo di fronte alla «lacerazione di fondamentali principi giuridici». Perché oggi, ha aggiunto con tono ancora più duro, «si sta mettendo la Costituzione sotto i piedi».
A chi gli si è fatto intorno alla fine del dibattito per domandargli se avesse correttamente interpretato il suo intervento, e cioè come un parallelismo tra Mussolini e Berlusconi, Scalfaro non ha risposto direttamente, ma ha detto: «Oggi abbiamo come dei tarli che cercano di erodere questo legno formidabile che è la nostra Storia». E ha poi aggiunto: «Non dico che qui c'è la dittatura. Mi fermo ai fatti». E allora eccoli i fatti elencati dal senatore a vita, dall'alto dei suoi 85 anni (li compie domani), dei quali 58 passati in politica.
I fatti, quelli del Ventennio: «Mussolini andò al potere nel '22. Ma non con la marcia su Roma, che sul piano costituzionale non è esistita. Mussolini andò al potere nel rispetto dello Statuto Albertino». Ha interrotto la lettura storica solo per invitare a fare «attenzione», perché «quando nascono delle cose corrette è sbagliato dire "è nata in modo corretto, quindi andiamo a dormire". E se il giorno quando ci svegliamo non è più corretta?». Chiaro il riferimento a Berlusconi, e a quanti invitano a lasciarlo fare perché regolarmente eletto dai cittadini. Ha ripreso con i fatti: «Nel 1924 viene ucciso Matteotti. Il re tacque». Nessun commento a questo passaggio. Né a quello dopo: «Nel 1930 arriva una disposizione che imponeva a tutti i dipendenti dello Stato di iscriversi al partito fascista». E ancora: «1938: tu sei ebreo? - ha detto puntando il dito indice davanti a sé - non avrai più la pienezza dei diritti. E il re, che aveva taciuto nel '24 e nel '30, firma la legge». È a questo punto che Scalfaro ha di nuovo invitato a fare attenzione: «Attenzione ai primi sintomi. Non facciamo finta di nulla, non facciamo finta di non vedere».
Ed è a questo punto che c'è stato il cambio di registro. Sempre di fatti, ha parlato. Ma dei fatti di oggi, delle leggi vergogna, dei ripetuti attacchi contro la magistratura. Poco prima era ricorso al tono ironico, ricordando che lui di professione è stato un magistrato: «Faccio parte dei matti», ha scherzato facendo ben intendere cosa pensi dell'intervista rilasciata da Berlusconi nei giorni scorsi. Frasi dette con tono ironico, all'inizio del suo intervento, quando aveva appena ricevuto in regalo da Fassino una penna Mont Blanc per il suo 85esimo compleanno. E anche con tono scherzoso aveva salutato Sergio Cofferati, seduto in prima fila insieme a tutto lo stato maggiore della Quercia dell'Emilia Romagna: «Tu, caro Cofferati, hai portato nel mondo politico una grande saggezza ed equilibrio. A te che sei matto non te lo potrà mai dire nessuno». Poi, però, il tono è cambiato quando ha iniziato a ripercorrere le tappe del Ventennio, fino all'8 settembre '43 e alla liberazione del 25 aprile '45 (criticando il «revisionismo in malafede» Scalfaro ha detto: «Mi inchino di fronte ai giovani che, schierandosi con la Repubblica sociale, andarono a morire credendo di farlo per la patria. Questo non può però mutare la realtà: erano schierati contro la parte della libertà e della tranquillità del nostro popolo»).
E il tono è rimasto serio quando è passato dalle leggi razziali alle leggi approvate recentemente in Italia, «leggi approvate per una, due o cinque persone», leggi che «sono una lacerazione del principio giuridico dell'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge sancito dall'articolo 3 della Costituzione». Il cosiddetto lodo Schifani, ha aggiunto Scalfaro, è stato per giunta votato «come una legge normale e non con le procedure previste per la modifica costituzionale. E questo perché dovevano approvarlo di corsa, altrimenti il processo poteva andare avanti», ha detto senza specificare di quale processo si trattasse, ma facendolo ben intuire. «Questo - ha scandito mentre già tutta la platea esplodeva in un applauso scrosciante - è mettere la Costituzione sotto i piedi». Una Costituzione che oggi è «in sofferenza», perché si stanno attaccando più principi. Ha ricordato l'articolo 3, il presidente emerito della Repubblica, ma anche l'articolo 21, che sancisce il diritto di ognuno ad esprimersi liberamente e ad essere correttamente informato. «Ma ditemi voi - ha chiesto rivolgendosi alla platea - come sono i telegiornali? come sono le notizie?».
I duemila sotto il tendone del Palaconad hanno interrotto spesso con applausi il suo intervento. Ed è stato un boato quando Scalfaro ha attaccato duramente non solo il presidente del Consiglio, ma l'intero schieramento di centrodestra: «Quando mi capita di sentire il premier che dice qualcosa quanto meno irreale, incomincia una catena salmodiante di ogni rappresentante della maggioranza che spiega: non ha voluto dire così, guardate è la sinistra che... Questa - ha concluso con tono duro tra gli applausi - è la salmodia dei servi».
Solo una volta Scalfaro (che ha anche dedicato un passaggio dell'intervento all'unità del centrosinistra: «Solo se si sta uniti si vince») ha citato l'attuale inquilino del Quirinale, Carlo Azeglio Ciampi. E lo ha fatto con parole di elogio per il comunicato diffuso nel giorno dell'attacco di Berlusconi contro i giudici. Il senatore a vita ha spiegato di aver apprezzato l'intervento di Ciampi perché fatto in riferimento diretto ed esplicito a quella vicenda: «Ho detto altre volte che le prediche apostoliche, chiunque le faccia, non servono a nulla».
Dai toni meno accesi l'intervento di Fassino, concentrato sul tema della Resistenza ma con alcuni riferimenti alla situazione politica di oggi. «In democrazia non ci sono nemici da battere, ma avversari con cui confrontarsi», ha detto il segretario Ds, poi aggiungendo: «Non è inutile ricordarlo nel momento in cui la vita politica è avvelenata dalla demolizione dell'avversario inteso come nemico». Ha poi criticato duramente l'opera di «revisionismo storico» con la quale si cerca di «recidere le radici della nostra storia, che è nata nei 18 mesi delle Resistenza». Ha concluso Fassino tra gli applausi: «La nostra Repubblica nasce e vive perché una generazione ha deciso che nascesse e vivesse. Il Paese fu riscattato da uomini e donne di idee diverse, ma accomunati dai valori antifascisti».