E’ apparso un articolo dal tono mezzo apostolico e mezzo giuridico a firma dell’ex Soprintendente archeologico, Vincenzo Santoni, che ha avuto una parte a nostro avviso negativa nelle disavventure di Tuvixeddu. Lo scritto mescola il Papa con massime giuridiche, omelie con la sentenza del Tar sulla necropoli. Ci ricorda con un tono da Paolo di Tarso, che dobbiamo camminare insieme sostenuti da “una ferma inquietudine per la verità”. Poi prende il tono tenebroso del giure.
L’ex Soprintendente parla anche di tutela. E proprio sulla tutela del colle ci siamo interrogati dopo la gravosa lettura dell’articolo.
Sappiamo dalla stampa che qualche giorno fa la Guardia Forestale ha controllato con un sopralluogo se a Tuvixeddu c’è corrispondenza tra il progetto del giardino a gradoni babilonesi e la sua realizzazione.
I ranger – così oggi chiamano le guardie forestali - hanno rilevato differenze importanti tra il disegno degli architetti e quanto, invece, l’impresa ha realizzato. Insomma, sembra che durante l’esecuzione del progetto il costruttore abbia fatto di testa propria. La stampa ha parlato dei camminamenti che da 80 centimentri si sono allargati a 4 metri, delle fioriere in stile babilonese - ma questa faccenda dello stile è una sciagura già presente nel progetto - che esorbitano le dimensioni prescritte. In sostanza la realizzazione del progetto è diversa dal progetto originale.
Ci chiediamo come sia potuto accadere che la Soprintendenza archeologica, rappresentata all’epoca proprio dallo stesso Vincenzo Santoni, abbia trascurato il controllo dei lavori nel giardino che confina con l’area di maggior valore archeologico. Ci domandiamo se è normale che ci sia voluta la benemerita Forestale per eseguire delle semplici misurazioni. Ci chiediamo se non sarebbe bastato un Soprintendente armato solo delle proprie gambe, di occhi, occhiali e di un metro lineare. Ci domandiamo dove fosse la Soprintendenza archeologica quando la dimensione dei camminamenti si quintuplicava, dove fosse il Soprintendente quando le fioriere crescevano oltre misura.
D’altronde ci siamo già posti la stessa domanda in altre occasioni.
Ci siamo chiesti perché la stessa Soprintendenza abbia permesso la copertura dell’anfiteatro, la cementificazione dell’antico camminamento scavato nella roccia a Buoncammino. Ci siamo chiesti dove era la Soprintendenza quando il colle di Tuvumannu e i suoi reperti sono stati ricoperti da desolanti costruzioni di cemento armato, dove era quando un tempio punico è stato ricoperto da un’agenzia di viaggi, dove era quando a Santa Gilla scomparivano i segni preziosi della città fenicia e di quella giudicale affogati da una volgare città mercato, tanto sempre città sono. Ci chiediamo con amarezza quale tutela ricevano oggi le tombe di Viale Sant’Avendrace che saranno nascoste alla vista da un nuovo palazzo di cinque piani.
Beh, noi crediamo che l’azione di tutela debba essere esercitata esclusivamente per quello che la parola significa. Pensiamo che la tutela non ammetta vie di mezzo e che in nessun caso debba consistere in una mediazione. Altri sono chiamati a mediare.
Il compromesso tra parti impari ( Tuvixeddu fragile e l’impresa piena di forza ) è causa di un danno irrimediabile al bene più debole. Questa consuetudine disastrosa fa sì che il bene, limitato ed esauribile, perda ad ogni mediazione un pezzo di sé, sino all’esaurimento. Noi ci aspettiamo dalle Soprintendenze una lineare e coraggiosa azione di pura tutela e protezione, senza vie di mezzo.
La valorizzazione di un patrimonio culturale viene dopo la sua salvezza. Farlo conoscere e divulgarlo spetta alle regioni, non alle Soprintendenze. La conoscenza di quel patrimonio, dice il nostro ordinamento, deve in ogni caso privilegiare la tutela che resta l’esigenza primaria. Insomma, prima si tutela e poi, solo poi, si valorizza.
Dalle nostre parti si procede al contrario, come i gamberi. E la tutela è poco praticata. Nell’Isola viene prima la “fruizione” dei luoghi. E per renderli “fruibili” i luoghi vengono di fatto alterati e distrutti. Poi, quando è troppo tardi, si procede alla tutela. Un esempio su tutti. L’Anfiteatro romano è stato ricoperto con tavole e tubi proprio a causa della “fruibilità” e della “valorizzazione”. Lo si è falsificato, alterato, reso invisibile e si racconta che così lo si tutela.
L’articolo dell’ex Soprintendente ci ha tolto un altro po’ di speranza. Tuvixeddu è anche una metafora del rapporto tra noi, la nostra storia e un distruttivo presente che qualcuno confonde con la modernità.